il Fatto Quotidiano, 20 ottobre 2021
Un libro fatto di frasi notevoli di grandi scrittori
Un piacere sottile ma inestimabile. Sottolineare, trascrivere, serbare gelosamente le frasi dei libri. Brian Dillon ci ha ricamato Inseguendo eclissi, appena pubblicato da Il Saggiatore. Docente di Scrittura critica al Royal College of Art di Londra, le ha ricopiate per 25 anni nei suoi taccuini. Affini, interroganti, sfaccettate, capienti. L’arte discreta e sublime del saper tratteggiare interi universi nel volgere di un diorama di parole.
Ogni capitolo prende le mosse da una citazione, sfogliando l’atlante sentimentale delle letture del suo collezionista e meta-narratore. L’incanto suadente e obliquo dei distillati della grande prosa, poesia e saggistica. Le frasi come eclissi: intermittenze di bellezza, scintillii d’illuminazione. Possono trasformarci per sempre. Che si parli di amore o delitti, amicizie o viaggi avventurosi, imprese o astrazioni, “malattia e salute, la luce di un pomeriggio a New York, un ragazzo bianco che vuole essere nero”. Che siano brevi, lunghe, eleganti possibilmente.
Le 27 frasi del libro, tutte provenienti dal suo “cielo brulicante di annotazioni”, sono quelle che “brillano più intensamente”. E intorno a ognuna di queste Dillon addensa, alla stregua di Roland Barthes (“il santo patrono delle mie frasi”), un piccolo saggio. Zoom in avanti e carrellate all’indietro, come nel cinematografico effetto Vertigo. Niente aforismi o locuzioni a effetto: è il trionfo della libertà d’interpretazione. “Il tempo che antiqua le Anticaglie, e ha l’arte di far polvere di tutto, eppure ha risparmiato questi minori monumenti” scrisse Sir Thomas Browne, medico e saggista del Diciassettesimo secolo in un suo testo di ricerca sulle usanze funerarie. Già Virginia Woolf aveva affermato: “Pochi amano gli scritti di Sir Thomas Browne, ma quei pochi sono parte del sale della terra”. “A prescindere da quanto elaborato sia il rituale o quanto sicura la sepoltura, il nostro destino è essere dimenticati – aggiunge qui Dillon –. La lingua in cui Browne esprime tutto questo, tuttavia, è indelebile, le sue frasi elevate durano più a lungo della sua stessa tomba”.
Frasi che sopravvivono per l’eternità, “perché ogni frase scritta è una sorta di fantasma di fronte all’oblio universale”. Le frasi (la specialità della casa) di Thomas De Quincey, autore dell’ottocentesco Confessioni di un oppiomane inglese: “Non solo descrivevano o esprimevano i suoi accessi di pensiero e di sentimento, ma erano a loro volta eccitate, ispirate, sovrabbondanti a livello di logica, ritmi, sintassi, scelta delle parole e punteggiatura”. Dillon ne cita una (rigogliosa) in apertura, ma lascia il segno anche questa: il sogno, scrisse, è “quel meraviglioso apparato che costringe l’infinito a penetrare nel chiuso di un cervello umano, e getta cupi riflessi delle eterne verità”.
A proposito, diamo la parola a George Eliot. Dal ventesimo capitolo di Middlemarch: “Le immagini che si succedono come quelle di una lanterna magica nel sonno; e in certi momenti di malinconica desolazione Dorothea, per tutta la vita, rivide la vastità di San Pietro, l’enorme baldacchino di bronzo, gli atteggiamenti enfatici e i vestiti dei profeti e degli evangelisti sui mosaici in alto, come pure i drappi rossi appesi per Natale che si stendevano dappertutto come una malattia della retina”. Osserva Dillon: “Non mi aspettavo un linguaggio come questo, in cui l’empatia è fisica o chimica oltre che spirituale, morale ed estetica”.
Altre eclissi letterarie, inseguite e ghermite: Gertrude Stein (“Supponendo che…”), Samuel Beckett (“Quel sorriso sulla condizione umana tanto poco soggetto a essere spento dalle bombe…”), Joan Didion (“Nella pagina accanto, in alto: in tutta la casa, colore, verve, tesori improvvisati in felice ma anomala coesistenza”), Maeve Brennan (“Una singolare prospettiva aveva la signora guardandosi intorno nella stanza dove nulla era vero tranne i suoi occhi azzurri”). Qualche esempio dalla sala degli specchi allestita in un volume da leggere, e poi rileggere. “La frase richiede pazienza; è come aspettare che una fotografia si sviluppi”.