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 2021  ottobre 20 Mercoledì calendario

Biografia di Elena Sofia Ricci raccontata da lei stessa

Il 24 ottobre si festeggerà la prima Giornata nazionale dello spettacolo e se sarà possibile celebrare tutti i lavoratori di un settore tra i più colpiti dalla pandemia, lo si deve soprattutto a Elena Sofia Ricci.
Come si sente?
«Felice, però il merito non è mio, ma di tanti. Io sono la pazza che ha pensato di girare il documentario Grido per un Nuovo Rinascimento, dapprima assieme a mio marito (Stefano Mainetti, ndr), poi con mia sorella (Elisa Barucchieri), infine dalla nostra famiglia abbiamo esteso a quella dello spettacolo. Mi sono interfacciata con il ministro Franceschini parlandogli della necessità di una giornata che risvegliasse le coscienze e desse a tutti noi la patente di lavoratori. La presidente del Senato Casellati l’ha fortemente voluta: ha convocato con procedura d’urgenza la commissione Cultura del Senato e in tre settimane hanno scritto il disegno di legge... poi ci sono voluti sei mesi prima di farlo passare alla Camera. Ogni tanto chiamavo il ministro, gli scrivevo...».
Lo spettacolo è nel suo Dna.
«Da sempre. Appena c’era qualcosa che anche solo ricordava un palcoscenico ci salivo. Era sufficiente il dislivello di un gradino nel salotto della casa di Firenze, dove sono cresciuta: quello per me era chiaramente un palco. Avevo tre o quattro anni: lì ho capito che non avrei potuto fare altro».
Sua mamma, Elena Ricci Poccetto, è stata la prima scenografa donna in italia.
«Mi portava con lei a Cinecittà. Mi ricordo i capannoni in cui c’erano i tessuti: i teli arrivavano fino al soffitto e a me sembrava arrivassero all’infinito, come delle tele di Caravaggio. Impazzivo, così come nelle sartorie. Vedevo questo esercito di persone, questa vastità di oggetti. Dietro un film, un concerto o uno spettacolo c’è un mondo che fatica a far capire che esiste. Ma produce: non solo cultura ma anche Pil, porta ricchezza non solo alle anime ma anche, molto meramente, alle tasche».
Si sognava attrice?
«Da piccola mi vedevo ballerina, poi cantautrice, poi mi sono vista parrucchiera... per un tratto anche macellaia: mi piaceva guardarli mentre tagliavano la carne... anche loro, in fondo, sembravano su un palco».
I suoi inizi, sono stati proprio nella danza.
«Ho frequentato la scuola di Mimma Testa, che ora, a causa della pandemia, ha chiuso dopo 60 anni: ho pianto, veramente. In quella scuola mi sono formata: ho imparato ad amare la danza, la musica ma anche la letteratura e la pittura. Era un ambiente unico, un patrimonio disperso. Ai primi saggi che facevo, mi sono resa conto che quello che mi piaceva era raccontare delle storie attraverso il mio corpo. Non ero così dotata fisicamente, non avevo il corpo della ballerina, ma mi davano sempre la parti più importanti perché ero espressiva».
Cos’altro ricorda della sua infanzia?
«Quando costringevo i miei cugini, poverini, e la mia amica Silvia, che adesso è docente di Chimica Farmaceutica e che allora abitava accanto a me, a fare recite e spettacoli. Anche dopo che mi ero trasferita a Roma tornavo a Firenze tutte le estati e non facevo che organizzare rappresentazioni. Mia nonna era stata la prima a vedere il mio futuro: è lei che mi ha iscritta a danza, lei che mi regalò una chitarra classica quando avevo sette anni».
In questi primi ricordi, non c’è sua sorella.
«No, purtroppo l’ho conosciuta tardi, assieme ai miei altri due fratelli. Avevo trent’anni ed è stato quando ho ritrovato mio padre. Ma con loro, pur non conoscendoci, c’era un legame molto forte e lo abbiamo capito subito».
Non deve essere stato facile.
«Ero stata programmata, educata per detestare mio padre. Ovviamente tutto questo mi è costato qualche anno di analisi, ma alla fine ho capito che potevo imparare ad amare tutti per quello che erano. Per fortuna ho recuperato sia con lui che con i miei fratelli, appunto, totalmente incolpevoli. Tra l’altro, nostro padre si era separato anche dalla loro mamma. Averli nella mia vita è stata una ricchezza, l’amore si eleva a potenza, non è una torta da dividere».
La figura del padre per una figlia femmina ha un certo peso, direbbe Freud.
«Uh se ce l’ha. Infatti ho infilato una serie di insuccessi sentimentali uno via l’altro. Poi è vero che tutto contribuisce a farci diventare chi siamo, ma nel mentre in cui li vivi, sono dei disastri. Anche se devo dire che sono rimasta amica di quasi tutti i miei ex: l’amore finisce ma l’affetto dovrebbe restare. Io e mio marito per fortuna siamo entrambi così».
Ma tornando alla figura del padre?
«Ovviamente, attraverso gli uomini che sceglievo cercavo sempre di cambiare mio padre, quindi trovavo persone che mi garantissero l’abbandono nella speranza che non mi abbandonassero. Poi, se ci penso, ancora oggi l’aggettivo che amo di più è “interessante”».

Interessante?
«Sì, lo ripeteva sempre papà. Anche sul letto di morte: per via della morfina aveva delle visioni e quando si svegliava, mi raccontava: “Ho visto una locomotiva che andava sui campi... ma guarda te questa morfina come è interessante”. Trovava che tutto fosse interessante e anche a me piace questo aspetto nella vita. Essere interessanti è la vera bellezza».
Lo dice lei che è una bellissima donna.
«Ma non ci ho mai puntato. Ho curato tanto la mia anima e credo ne abbia giovato anche il corpo. Ma fin da piccola, quando facevo le recite, se portavamo in scena La Bella e la Bestia io ero la Bestia. O il lupo. Personaggi negativi, controversi, ma, appunto, interessanti».
A marzo compirà 60 anni. Le fa effetto?
«Sento che sto per compiere un giro di boa importante. Questi ultimi anni volano, accidenti, e io ogni tanto mi chiedo: ma come farò a vivere in un corpo che mi ricorda che non ho più 30 anni però con il cervello di una ragazza, la passione di una ragazza, l’entusiasmo di una ragazza? Io mi sento una ragazza... una ragazza grande, una ragazza di una certa età».
Una ragazza che è anche mamma di due figlie femmine.
«E sono una super sostenitrice delle donne. Sono stata abusata quando avevo 12 anni: non posso che essere dalla parte di tutte le donne, dalle bambine alle donne adulte. Ma, in generale, sono totalmente dalla parte di chi subisce violenza e li comprendo».
È difficile anche solo immaginare cosa significhi vivere qualcosa di simile.
«Tutti abbiamo un buco nero. Ci sono nodi che ancora non sono riuscita a sciogliere in fondo alla mia anima, ma ognuno di noi ha una zona d’ombra, che ricorda che non siamo riusciti a superare certi dolori. Io ho iniziato un percorso analisi tanti di quegli anni fa... quasi 30. So che è dura andare all’interno di se stessi, ma è necessario. L’ho fatto, anche se mi accorgo che questi nodi esistono e non li so superare. Mi devo perdonare per questo».
Come si definirebbe oggi?
«Sono una donna appassionata. Come mamma sono forse più brava a stare in ascolto, a stare vicina con l’anima e meno coccolona mentre mio marito è più bravo in questo. Però per le mie figlie ci sono sempre. Penso di avere una buona intelligenza emotiva. Studiando la professoressa Montalcini, per interpretarla, ho capito quanto siamo più indietro in questo senso rispetto alla parte razionale: abbiamo inventato Internet, viaggiamo nello Spazio ma continuiamo ad ucciderci gli uni con gli altri».
Cosa ha amato di Rita Levi-Montalcini?
«Avevo letto ancora prima di interpretarla Abbi il coraggio di conoscere: quella frase di Kant, sapere aude, era appiccicata con un pezzo di scotch alla sua libreria. Il suo amore per la conoscenza parla del suo coraggio».
Per Sorrentino è stata Veronica Lario.
«Ecco, anche lei ha avuto molto coraggio. Ha avuto una vita almeno impegnativa».
Passa con disinvoltura dai classici a teatro, al cinema d’autore, fino alle fiction più pop. Come ci riesce?
«Mastroianni mi teneva sulle ginocchia da bambina e mi diceva: “In questo mestiere tu devi fare tutto, perché è un mestiere che si impara facendolo”. Tutto diventa esperienza. Inoltre, grazie alla popolarità che mi ha dato la tv, oggi posso riempire i teatri con gli autori che amo».
Si è mai spiegata il successo clamoroso di una serie come «I Cesaroni»?
«Nessuno aveva mai raccontato quanto possa essere bella una grande famiglia allargata. I Cesaroni hanno di colpo liberato tutti dai perbenismi, dalle impostazioni ottocentesche sull’idea del nucleo famigliare per far scoprire che l’amore può aumentare: quanti più siamo meglio sarà. Vederlo in tv è stato come un sospiro di sollievo per tantissimi. Io a scuola ero l’unica figlia di separati, la mia prima figlia, Emma, era tra i tanti figli di genitori separati mentre la piccola, Maria, è tra le pochissime figlie di genitori che stanno ancora insieme».
Ha amici nello spettacolo?
«Tanti, soprattutto tante amiche, Margherita Buy (mi prende sempre in giro perché bevo pochissimo), Valeria Golino, Sabrina Ferilli... ci scriviamo in continuazione».
Nella sua carriera, qualcuno ha mai messo in dubbio il suo talento?
«È successo, più spesso a teatro e delle volte mi sono sentita ferita. Ho dovuto fare uno scatto: non mollare ma trovare una soluzione per rialzarmi e vedere nell’impegno per farlo un motivo di crescita».
Ora è tornata a teatro con «La dolce ala della giovinezza».
«Il mio amato Tennessee Williams. Mi dicevo: non vedo l’ora di essere abbastanza vecchia per fare questo ruolo e ahimè il tempo è arrivato. Ma recito con tanti giovani colleghi che mi fanno quasi sentire una 20enne. Del resto lo dicevo no? Sono una ragazza di una certa età».