Corriere della Sera, 20 ottobre 2021
La dura vita delle opere del Bardo
George Orwell, in 1984, prevede che entro il 2050 ma forse anche prima, «tutta la letteratura del passato sarà stata distrutta: Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron… trasformati in qualcosa di opposto a ciò che erano prima. Il pensiero non esisterà più... Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare».
È un avvertimento terrificante, e per fortuna nei Paesi democratici la grande letteratura non è apertamente a rischio censura, ma di sicuro i grandi autori del canone occidentale vivono anni complicati: ultimamente tocca a Shakespeare, uno dei «dead white men», «uomini bianchi morti» tacciati da parte dell’accademia di una serie di crimini tra i quali razzismo, colonialismo, sessismo.
Sono isolati (per ora) quelli che sostengono che Shakespeare, obsoleto, possa essere rimosso dai programmi di studio, ma il punto è che perfino il Globe Theatre londinese – sorge sulle ceneri di quello originale shakespeariano, gioiello architettonico a pochi passi dalla magnifica Tate Modern – organizza ora «seminari antirazzisti» per «decolonizzare» il corpus delle opere del Bardo.
Quelli del Globe, almeno, sono seminari, ma di sicuro ci sono opere apertamente bollate ormai, nel mondo anglosassone, come «problematiche» – La tempesta per la riduzione in schiavitù di Calibano, La bisbetica domata per misoginia, nel Sogno di una notte di mezza estate sono stati rintracciati stereotipi perniciosi, e così via. In questo clima non sereno possono anche traballare cattedre prestigiose: visto che la Storia ha un crudele senso dello humour, è appena finito sospeso dall’insegnamento – dalla cattedra di composizione musicale intitolata a Leonard Bernstein dall’ottima Università del Michigan – Bright Sheng, compositore cinese nato nel ’55 al quale da bambino la rivoluzione culturale sequestrò immediatamente il pianoforte.
La prudenza
Sono isolati coloro che vorrebbero rimuoverlo, ma ci sono versi ormai ritenuti problematici
La colpa di Sheng: sicuramente l’imprudenza, se per introdurre l’Otello verdiano agli studenti ha avuto la (obiettivamente pessima) idea di mostrare agli studenti proprio l’Otello shakespeariano del 1965 con Laurence Olivier. Il sommo attore inglese fece la scelta – peraltro già foriera di polemiche sui giornali a quei tempi, non solo nel 2021 – di interpretare Otello con parrucca riccia, impressionante tintura nero pece sul viso, labbra ritoccate di rosso per farle più carnose. Documento d’epoca: adesso Otello si recita senza parrucca e senza make-up o tutt’al più con un filo di fondotinta. Immediata la rivolta degli studenti, inevitabile la lettera di scuse del compositore e la sospensione dall’insegnamento.
Come interpretare Otello è un tema vivo, nel mondo del teatro: se l’attore non è nero, il pesante trucco che si usava una volta è stato archiviato – difficile che non evochi, nel pubblico di colore specialmente in America, l’eredità dolorosa del «blackface», gli spettacoli di musicisti bianchi truccati da neri con lucido da scarpe in faccia, grotteschi labbroni bianchi, accento caricaturale. Shakespeare, nella sua grandezza, va oltre il colore della pelle e il genere: attualmente nel West End trionfa un Amleto donna e nera, la bravissima Cush Jumbo (in Italia abbiamo visto Elisabetta Pozzi nei panni del principe di Danimarca). Prudenza richiederebbe, nel caso del Michigan, visto il clima attuale, almeno di avvertire prima gli studenti che si sta per vedere il documento di un tempo diverso dal nostro – cosa ovvia per i più maturi, ma nel 2021 dove molti concepiscono l’arte come uno specchio, repetita iuvant (la Disney mette spesso un’avvertenza prima dei suoi cartoni più datati).
Otello, peraltro, da secoli è un campo di battaglia filosofico: gli americani che lo mettevano in scena in età schiavista risolvevano l’impasse considerando il nobile Moro un bianco, non un nero. Paul Robeson, che lo interpretò nel 1943, riteneva invece la tragedia un atto d’accusa verso il razzismo dei bianchi. Difficile «cancellare» Shakespeare, tradotto in più di cento lingue, rappresentato in tutto il mondo, due miliardi di copie vendute (Il mercante di Venezia, obiettivamente antisemita, ha comunque resistito per meriti artistici), ma ci vuole attenzione. Nelle sue memorie Nelson Mandela – lettore appassionato di Shakespeare e dei classici greci – racconta la storia di una riunione clandestina negli anni 50: sentendo citare Cesare e Bruto, qualcuno chiede perplesso: «Chi sono? Sono morti?». Sì, conclude Mandela, ma la realtà del tradimento è quanto mai viva. Come Shakespeare.