Corriere della Sera, 20 ottobre 2021
La caduta dell’ex direttore della Bild Julian Reichelt
Con le redattrici giovani e piacenti, Julian Reichelt non aveva pace, né scrupoli. Se le portava a letto in cambio di promozioni. Minacciava di licenziarle. Dava loro dei bonus in denaro una tantum, chiedendo il silenzio. In un caso, aveva perfino forgiato un falso certificato di divorzio per superare le resistenze di una praticante che gli resisteva con la scusa che era sposato. Ma ora è finita. L’onnipotente direttore della Bild, il più grande giornale europeo, è stato cacciato con effetto immediato dalla casa editrice Axel Springer, che per mesi lo aveva difeso dalle accuse di molestie e abusi sessuali. «È come il finale di un film sulla malavita», ha commentato la Süddeutsche Zeitung.«Reichelt non ha separato chiaramente la sfera privata da quella professionale e ha mentito ai dirigenti del gruppo», dice il comunicato dell’annuncio, che scuote il panorama dei media tedeschi e mette in evidenza la faglia nella cultura d’azienda che ancora separa la Germania dagli Stati Uniti, dove la tolleranza zero nei confronti di attitudini predatorie o misogine è ormai la regola.
A far precipitare la decisione di Mathias Döpfner, presidente e amministratore delegato di Springer, che finora aveva appoggiato Reichelt con tutta la forza della sua autorità, è stata infatti un’inchiesta del New York Times, che ha rivelato nuovi dettagli sui suoi atteggiamenti in redazione.
In marzo, quando le prime accuse contro il direttore erano emerse, Springer aveva infatti ordinato un’indagine indipendente a uno studio legale e lo aveva sospeso cautelativamente per 12 giorni. Sulla base dei risultati, il board della società aveva concluso che Reichelt aveva sì commesso degli errori, ma non atti perseguibili penalmente. Così era stato reinsediato con pieni poteri al vertice del quotidiano, sia pure affiancato da una condirettrice, Alexandra Würzbach.
Ora però Springer non si è più potuta nascondere. L’inchiesta del Times è puntuale e spietata nel rivelare i contenuti fin qui segreti dell’indagine interna: «Così funziona alla Bild, chi va a letto con il direttore, viene promosso», dice uno dei capiredattori ascoltati in marzo. Poche ore dopo le dimissioni di Reichelt, anche Der Spiegel ha pubblicato nuove testimonianze, che lo accusano di aver abusato della sua posizione per sedurre diverse donne della redazione. Il settimanale di Amburgo era stato il primo in marzo a descrivere Reichelt come «un uomo ossessionato dal potere» che «sistematicamente promuove e seduce le donne che lavorano a Bild». Il titolo della storia era: «Scopa, promuovi, licenzia».
Nel motivare la cacciata di Reichelt, Döpfner ha spiegato di non essere stato a conoscenza dei dettagli rivelati dal Times: «Non tollereremo alcun comportamento che non rispetti i nostri standard etici e la nostra cultura inclusiva e aperta», ha detto il Ceo. Döpfner, tuttavia, ha elogiato il direttore licenziato, definendo il suo lavoro «eccellente».
L’articolo del Times getta però una luce critica sullo stesso Döpfner, che al tempo dell’inchiesta di marzo avrebbe detto all’avvocato difensore del giornalista: «Dobbiamo essere cauti nell’indagine su Reichelt, perché è l’ultimo e solo giornalista in Germania che abbia il coraggio di ribellarsi contro il nuovo stato totalitario modello Ddr». Il riferimento era alle restrizioni per la pandemia, imposte dal governo di Angela Merkel, contro cui Bild si è spesso schierata con toni molto aggressivi. Ieri Döpfner ha dovuto precisare che lui non pensa affatto che la Germania sia come la Ddr.
Perché il New York Times abbia dedicato tanto lavoro e spazio alla vicenda è spiegabile anche con la crescente presenza di Springer sul mercato americano dei media digitali. Dopo aver investito oltre 300 milioni di euro nel 2015 per acquistare il 90% del portale Business Insider (ora ribattezzato Insider), il gruppo tedesco ha sborsato 1 miliardo di euro la scorsa estate per acquistare Politico, la testata che ormai compete alla pari con i grandi giornali americani nella copertura di politica interna e internazionale. Se prima la cultura d’azienda tedesca sui temi sollevati dal movimento #metoo non era oggetto di scrutinio, ora è sicuramente diverso e Springer non può più ignorarne ritardi, reticenze, tantomeno sorvolare su fatti gravi come quelli addebitati a Reichelt.