Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 20 Mercoledì calendario

La passione della fotografia di Kubrick


Credo che catturare esteticamente delle azioni spontanee, piuttosto che riprendere delle pose, sia l’uso migliore e più espressivo dell’arte fotografica».
Era l’ottobre del 1948 quando un fotografo diciannovenne di New York rilasciava ad un mensile di fotografia la prima delle molte interviste che si sarebbero susseguite negli anni. Rivelando alla fine – tre righe appena – la sua passione per il grande schermo, dove stava per compiere il grande salto. Si chiamava Stanley Kubrick, e da tre anni, dopo la scuola, si immergeva nella Grande Mela per ricavarne degli scatti da vendere a Look, magazine specializzato in fotoreportage. L’inizio di una carriera che lo porterà nell’empireo della cinematografia, e che la mostra Attraverso uno sguardo diverso. Stanley Kubrick fotografo, in corso al Magazzino delle idee di Trieste fino alla fine del gennaio 2022, celebra esponendo immagini e documenti filmati degli esordi.
Era cominciato tutto col regalo di una macchina fotografica, quando Kubrick aveva 16 anni. La seconda guerra mondiale era agli sgoccioli e un giorno speciale l’attenzione del ragazzo viene catturata da un’edicola di strada. È il 12 aprile del 1945 e l’apertura dei giornali, esposti in evidenza ai lati del chiosco, è sulla stessa notizia: la morte, riportata a caratteri cubitali, di Franklin Delano Roosevelt, quattro volte presidente degli Stati Uniti, un record imbattuto e imbattibile dopo la modifica della costituzione. L’edicolante è al centro di questa girandola funebre di carta, che osserva intristito reggendosi il capo. Click!, uno scatto, che il fotografo adolescente decide di presentare di persona al magazine. Venduta all’istante. L’art director ha fiuto e stimola il fotografo dilettante a insistere. Il professore di letteratura della sua scuola legge agli studenti l’ Amleto. Impersonando tutti i personaggi, ogni volta con una mimica diversa. Di nascosto Stanley lo immortala in una sequenza che rivela capacità narrativa e un inusitato senso dell’umorismo. Anche questa finisce sulle pagine di Look. Che lo assume, il più giovane dipendente di sempre. Continuando a pubblicare i reportage proposti dal ragazzino che documentano le sue incursioni notturne nella metropolitana – “Life and love in the New York subway”, questo il titolo – durate due settimane. Dove coglie gli aspetti più sconosciuti, ma emblematici, spesso crudi, dei sotterranei metropolitani. In cui vagano i senzatetto, si accasciano gli alcolizzati, si dorme sdraiati sui sedili dopo una giornata di lavoro e i giovani amanti possono dar sfogo alla tenerezza liberi dallo sguardo della folla diurna. Le luci sono quelle, naturali, per restituirla nella sua veracità. Come le pose – spontanee, s’intende – di chi non sa di essere al centro dell’obiettivo.
La mostra, curata da Bruno Morello, espone 130 fotografie che raccontano i vicoli della città con i piccoli lustrascarpe che volgono lo sguardo lontano da tacchi e lacci inseguendo una vita che per ora gli è negata. Gli artisti del circo durante le prove, i night club, piccole storie che nessuno conosce, predilette dal futuro regista, accompagnate anche dai numeri della rivista che li hanno ospitati.
E una serie di ritratti di very important person, dai contorni sfumati, liberi per una volta dal consueto luccichio in cui la fama li aveva imbrigliati. Come Montgomery Clift, bellissimo e all’apice del successo, ripreso nel corso di una giornata all’interno del suo appartamento, dove conduce una vita ordinaria.
Nel carnet espositivo compaiono anche le stampe scartate perché ritenute troppo anticonformiste, non allineate allo stile della pubblicazione, da cui si intuisce già lo spirito kubrickiano che verrà fuori con prepotenza una volta dietro la macchina da presa (lo stesso che non gli farà mai vincere un Oscar se non quello per gli effetti speciali di 2001 – Odissea nello spazio ).
Corollario di questa carrellata in bianco e nero, il cortometraggio
Day of the fight girato nel 1951. Qui la lunga gavetta fatta di storie senz’altro vivide ma spezzate tra i recinti delle pagine, prende finalmente forma e vita. Per Look aveva seguito il pugile Walter C artier, un peso medio originario del Bronx come lui. Nei dodici minuti di girato, diretto e prodotto con i guadagni della sua attività fotogiornalistica, aspetta con lui l’arrivo di un match. Accompagnandolo dal risveglio con la colazione all’ingresso in chiesa per la messa mattutina, poi il pranzo nel ristorante preferito, la preparazione, e il knock-out micidiale che arriva in fretta. Il film segue uno storyboard preciso, che Kubrick deriva proprio dal servizio uscito su Look grazie al quale può elaborare scene, inquadrature e luci. Un modus operandi fotografico che manterrà per tutti i suoi lavori.
«Le parole sono una camicia di forza terribile», disse in un’intervista rilasciata dopo quindici anni di cinema, al culmine di una carriera iniziata con uno sguardo.