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 2021  ottobre 20 Mercoledì calendario

Intervista a Sergio Castellitto. Parla di calcio e film

Crazy for football – Matti per il calcio, alla Festa di Roma (e su Rai 1 il primo novembre) nasce dalla vera esperienza dello psichiatra Santo Rullo, ideatore della Nazionale di calcio fatta di giocatori con problemi di salute mentale. Volfango De Biasi (autore del documentario omonimo del 2016) ha cucito un film leggero e commovente grazie a un grande cast: lo psichiatra Sergio Castellitto, la figlia Marianna Fontana, l’allenatore Max Tortora, l’assistente Antonia Truppo. «La materia della psiche – racconta Castellitto – è intrinseca nella materia dell’attore, la frequento dai tempi di Il grande cocomero fino a In treatment. Mi ha entusiasmato la possibilità di lavorare sulla solitudine, perché il disagio mentale è una solitudine e l’attore è un disabile psichico per eccellenza, una persona divisa».
Il suo rapporto con il calcio?
«È lo sport di famiglia, in tutti i sensi. A casa mia la domenica, se la Roma perde, una depressione cocente pervade la famiglia. Quando mio figlio Pietro ha girato la serie su Totti andavo in giro dicendo “sono il padre di Totti”. Mi ricordo, adolescente, buttavamo zaino e giacca a vento in terra, si facevano i pali con i fagotti e si giocava per 2, 3 ore fino a quando nostra madre chiamava, “ma cosa stai facendo?”. Io giocavo sull’ala destra, poi con gli anni ho perso lo sprint».
Era lo strumento giusto perché questa storia accadesse.
«Perché è l’unico sport che noi chiamiamo gioco ed è fatto in squadra: tra i meriti che si assegnano ai giocatori c’è quello di saper fare spogliatoio, l’elemento psicologico è decisivo. È lo sport più diffuso, più popolare, trans generazionale, trans politico, Bertinotti è tifoso del Milan come Berlusconi, una terra di nessuno e di tutti in cui i conflitti si azzerano con la maglia dello stesso colore. Fior di professionisti hanno preso a morsi gli orecchi dell’avversario, quindi non solo questi cinque ragazzi hanno qualche disagio. In quei casi però si parla di trance agonistica».
Dallo sport nazionale al teatro nazionale, quello di Eduardo. Dopo “Natale in casa Cupiello” con Edoardo De Angelis avete preparato “Sabato domenica e lunedì” e “Non ti pago”.
«Eduardo è il più grande drammaturgo del Novecento italiano e non solo. Non era un autore, era un attore, ognuna delle edizioni tv dei suoi spettacoli era diversa. Il lavoro fatto da De Angelis è sorprendente. Pur rispettando la sostanza drammaturgica è riuscito a metterci dentro una siringa di tradimento. La sua è una rilettura nuova, che lo rilancia anche dal punto di vista visivo e che in me ha trovato una sponda assoluta».
"Il materiale emotivo” è stato ben accolto. Sarà comunque il suo ultimo film da regista?
«Sì. Non solo in termini fisici, ma nel suo essere una solitudine in mezzo a una moltitudine, la regia non fa per me. Questo film l’ho fatto tre anni fa, ero un’altra persona. Poi ho Pietro, che è così bravo a farlo».
Lavorerà per lui?
«Spero».
Sarà il generale Dalla Chiesa nella fiction Rai 1 di Lucio Pellegrini.
«È una figura che mi ha sempre affascinato. È uno degli ultimi grandi eroi in senso antropologico. Non esiste, oggi, un uomo che risponda, in un’intervista, che ha fatto il carabiniere “per difendere lo Stato”. Battute quasi al confine con la retorica, dette con una convinzione morale e etica assoluta, che me lo fanno piacere molto. E poi sono affezionato a Lucio, fu lui a far debuttare Pietro intuendone per primo il talento. Il film si concentra su una parte poco raccontata, la stagione della lotta alle Brigate Rosse. Non parliamo di mafia in termini così decisivi, ma soltanto come epilogo. Al centro c’è l’esperienza tragica degli anni 70.
Non a caso oggi qualche intellettuale apre al rischio che ci siano scenari che rimandano a quegli anni».