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 2021  ottobre 20 Mercoledì calendario

Intervista al discografico Franco Zanetti

È proprio Come in un incantesimo per cui, nell’appendice del libro di Carla Spessato sulla discografia di Franco Battiato, appare la notizia di un suo album perduto. A raccontarla è Franco Zanetti, discografico e poi giornalista di lungo corso. A certificarne l’interesse è Riccardo Bertoncelli, storica firma della critica (citato da Guccini ne L’avvelenata) e curatore dell’area musicale del gruppo Giunti: «È un Battiato che non t’aspetti», spiega, «ancora legato alla canzone tradizionale ma che in alcuni momenti ti fa pensare a un mondo “oltre” che, in seguito, è quello che avrebbe praticato».Zanetti, nel 2003 l’etichetta discografica Universal le ha chiesto una consulenza per realizzare una compilation di pezzi di Franco Battiato. Che cosa è successo?«Sapevano che conoscevo Battiato e la sua produzione da molto tempo e così ho proposto di recuperare quello che all’epoca non era disponibile in nessun modo, perché nel 2003 le canzoni di Battiato pre-discografia ufficiale non si trovavano da nessuna parte, neanche su Internet: o avevi i 45 giri o non li conoscevi. Per fare la tracklist Universal mi ha dato tutto quello che c’era in archivio, su due musicassette, che era il supporto di allora. Dentro c’erano 27 canzoni delle quali, a parte due o tre, non avevo mai sentito parlare. Ho cercato di capire se potevano essere inserite nella compilation ma la maggior parte non erano depositate in Siae e quindi non sarebbe stato possibile».E così, niente compilation?«Sono state usate solo dieci canzoni che erano quelle già uscite sui 45 giri.Però, per capirne di più, ai tempi avevo parlato con il fonico Bruno Malasoma che mi disse: “Nel 1969 con Franco avevamo registrato anche un intero album che era stato persino mixato ma che non è mai uscito”.Allora non ci feci caso, però ho tenuto le cassette nel mio archivio e non le ho mai fatte ascoltare a nessuno».E ora invece cosa è successo?«Che quando ho saputo che Riccardo Bertoncelli stava lavorando a un libro sulla discografia di Battiato gli ho detto: “Perché non raccontiamo anche la storia del suo album perduto?”. Lui era entusiasta e a quel punto sono andato a fondo: ho cercato di ricontattare Malasoma, che purtroppo nel frattempo è morto di complicanze legate al Covid. Allora ho cercato uno dei musicisti, Giorgio Logiri, che però non ricordava nulla; lui mi disse di provare con Alberto Mompellio: contattarlo non è stato semplice ma ci sono riuscito».E lui ricordava?«Meglio ancora: ha tirato fuori un’agenda su cui, giorno per giorno, c’era scritta ogni cosa, passo dopo passo, fatta per il disco. E così ho ricostruito la tracklist: erano tutti brani presenti nelle mie cassette, alcuni dei quali pubblicati, ma la maggioranza no. Il bello è che neanche loro avevano sentito la versione finale che avevo io perché il mix era stato effettuato da Malasoma e consegnato da lui alla Philips, che l’ha messo in un cassetto da cui non è più uscito. Glieli ho fatti ascoltare io 52 anni dopo».Che tipo di canzoni sono?«Sono pezzi del genere “cantautore malinconico fine anni 60”, come È l’amore, uno dei più famosi del Battiato pre-sperimentale».Ma è un disco interessante o no?«Dal punto di vista storico di sicuro».E da quello musicale?«Ci sono almeno un paio di cose piuttosto strane: una è una canzone registrata al contrario intitolata Iloponitnatsoc ovvero Costantinopoli, come forse si sarebbe dovuto intitolare il disco. E poi c’è il fatto che tra un brano e l’altro ci sono degli effetti sonori che non sono suonati ma registrati, il che indica la volontà di non fare un album “normale"».Ma perché la Philips non pubblicò un disco su cui aveva speso un bel po’ di soldi, già registrato e mixato?«Ho rintracciato un discografico che oggi ha più di 90 anni e che lavorò alla Philips tra il 1966 e il 1972. Si chiama Maso Biggero e lui mi ha detto: “Battiato mi aveva chiesto di poter usare la sala di registrazione di Piazza Cavour e io glielo concessi: realizzò un album bello e importante impostato come un discorso completo in cui i pezzi erano anche connessi tra loro ma il direttore generale d’allora, Alain Trossat, non amava Battiato e durante una riunione bocciò l’album come “poco commerciale”. Forse anche per questa delusione Battiato non volle più parlarne».