La Stampa, 20 ottobre 2021
Intervista a Roger Deakins
Il primo sole della California filtra attraverso le finestre, centrando in pieno i capelli bianchi di Roger Deakins. Quella suggestiva aureola forse è una coincidenza, forse no, considerato che l’interlocutore è uno dei più grandi maestri della luce del cinema contemporaneo, due volte premio Oscar, direttore della fotografia in Orwell 1984, Syd & Nancy, Dead Man Walking, Skyfall e buona parte dei film dei fratelli Coen. Da lì, dalla sua villa a Santa Monica, stasera alle 21 (ora italiana) Sir Roger sarà in collegamento streaming con le OGR di Torino, per una masterclass organizzata da View Conference, il festival delle nuove tecnologie applicate al cinema. Probabilmente condurrà l’incontro virtuale con lo stesso understatement e la ritrosia che riserva alle interviste. «Sono un introverso», sorride. «Pensi che quando nel 2017 alla notte degli Oscar hanno aperto la busta e hanno gridato il mio nome, la prima cosa a cui ho pensato è stata: “Oh mio Dio, adesso dovrò alzarmi in piedi e andare sul palco a dire qualcosa"».E la seconda cosa che ha pensato?«"Stasera sarà la prima volta in cui lascerò la sala senza che qualcuno mi chieda com’è stato non avercela fatta”. Che è una domanda ridicola, mi rendo conto, ma le assicuro che mi è stata rivolta dopo tutte le altre dodici mie candidature concluse con un nulla di fatto».Non era facile vincere una statuetta con il seguito di «Blade Runner». Non ha avuto paura di misurarsi con l’originale?«Sarebbe stato controproducente scimmiottarlo. Mi sono limitato a leggere la sceneggiatura, a confrontarmi con il regista e a fare il mio lavoro. Tecnicamente Blade Runner 2049 era un sequel, ma l’abbiamo sempre considerato un film a se stante. Deve averlo pensato anche l’Academy, a quanto pare».Parlando del secondo Oscar, quello per 1917, chi ha avuto l’idea di girare l’intero film con un unico piano sequenza?«È farina del sacco del regista Sam Mendes, l’aveva persino scritto sulla prima pagina della sceneggiatura. Lì la difficoltà più grossa è stata rovesciare la prospettiva: prima abbiamo dovuto immaginare la scena e solo dopo costruirci intorno una scenografia adatta. Ma Sam è stato chiaro fin dall’inizio: “Non concentriamoci sul come, ma sul cosa”.Come si lavora con i fratelli Coen?«Se si finisce per collaborare più volte con dei registi è perché si ha qualcosa in comune con loro. Magari si hanno punti di vista affini, magari ci si completa a vicenda, o ci si sfida. E su tutto c’è sempre un senso di fiducia reciproca, come con Joel ed Ethan. Abbiamo fatto un grande percorso insieme, che al momento si è interrotto nel 2016 con Ave, Cesare!. Forse proseguirà, forse no».Le capita di rivedere i suoi film?«Di recente solo una volta. È stato lo scorso anno per il ventennale di Fratello, dove sei?, al Lincoln Center di New York. Essere lì sotto uno schermo grande, con il pubblico intorno, è stato magnifico. Un’occasione più unica che rara, visto che i film non escono mai una seconda volta al cinema».È vero che lei è un grande fan di Luchino Visconti?«La terra trema è uno dei film della mia vita. Amo molto il neorealismo, Rossellini, Ladri di biciclette di De Sica. E poi Antonioni. Ho visto tutte le sue pellicole, la mia preferita è L’avventura».Vive più in California o nel Devon?«Un po’ qui un po’ là. Mi piace avere questa doppia possibilità. Resto un ragazzo di campagna e quando torno a casa, a Torquay, scatto fotografie o pesco sulla mia barchetta. È un tipo di vita molto diversa da quella del set, certo molto più salutare per il cervello».Da Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico, che cosa pensa della Brexit?«Sono combattuto. Sono convinto che l’Europa debba rimanere unita. Credo però che come istituzione stia creando un’omologazione eccessiva, senza rispetto per le caratteristiche dei Paesi membri. Penso alla fattoria di Torquay da cui passavamo tutti i giorni a ritirare la bottiglia del latte. Oggi non lo si può più fare, l’Europa ha imposto che il latte debba essere prima pastorizzato. So che l’esempio può apparire stupido, forse la mia è solo nostalgia per la semplicità del tempo passato». —