La Stampa, 20 ottobre 2021
I 90 anni di Monica Vitti
Roma
Le confessioni di un’attrice sempre pronta a criticare se stessa, ma anche le memorie felici, le buffe incoerenze, le mutazioni, lo spaesamento: «A un certo punto della mia vita – scriveva nella prima pagina dell’autobiografia Sette sottane –, a mia insaputa, devo aver deciso di dimenticare. Non dimenticare i dolori, gli errori, ma dimenticare fatti, persone, forse solo confondere tutto». A pochi giorni dal novantesimo compleanno (il 3 novembre) Monica Vitti, da oltre vent’anni assente dalle scene, rivive nel documentario di Fabrizio Corallo Vitti d’arte Vitti d’amore attraverso i ricordi di amici, colleghi, registi, critici, scrittori. Tutti alle prese con la difficoltà di parlare al presente di una persona sparita all’alba del Duemila, inghiottita dal silenzio della malattia e, da allora, amata e celebrata in punta di piedi, con il rispetto che si deve all’altrui sofferenza: «Recitare era ed è la mia vita – aveva detto l’attrice in un’intervista riproposta nel documentario –, fino a 90-95 anni vi toccherà vedere i miei film, da ridere e da piangere».
Non è andata così, l’ultima apparizione pubblica risale al 2003, quando, insieme al marito Roberto Russo, Monica Vitti aveva assistito alla prima Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante, poi più nulla, solo voci di una vita ritirata, nella casa a due passi da Piazza del Popolo: «Prima di iniziare a girare – spiega Corallo – ho contattato Russo che è stato molto collaborativo, mi ha dato filmati e fotografie, ma, ancora una volta, ha preferito non rilasciare interviste per ragioni di riserbo».
La carriera di Maria Luisa Ceciarelli, divenuta in seguito Vitti perché «nessuno diceva mai bene il mio nome, così ho capito che dovevo scegliere una cosa più semplice», è, fin dagli inizi, un’acrobazia a tutto campo, tra la disciplina appresa nelle aule dell’Accademia d’arte drammatica e la vis comica sempre pronta a prevalere su tutto, tra i dialoghi sospesi nei film di Antonioni centrati sull’incomunicabilità e le sequenze brillanti di classici della commedia, tra le coreografie allusive di Polvere di stelle e i confronti sensuali tra le lenzuola di Ti ho sposato per allegria: «Monica appariva timorosa e fragile – racconta Carlo Verdone –, ma sulla scena si trasformava e veniva fuori il suo grande carattere. È nel cuore di tutti». Paola Cortellesi sottolinea la capacità di essere «la prima mattatrice al pari dei grandissimi», il press-agent Enrico Lucherini ne sottolinea il talento «sembrava che non recitasse. Era di una naturalezza incredibile», Mario Monicelli ne mette in luce l’originalità «era una ragazza molto allegra e vitale, piena di spirito. In genere è difficile trovare donne che accettino di fare cose comiche, vogliono essere tutte pantere».
Nel film (ieri alla Festa di Roma e il 5 novembre in prima serata su Rai3) Vitti parla della famiglia «i miei mi hanno aiutata, perché mi hanno ostacolata», ma anche degli amori, sempre legati al lavoro, perché, come lei stessa spiega, le sarebbe stato difficile avere accanto un uomo che non condividesse la sua passione più grande: «Mi sono accorta di me dal modo con cui Antonioni mi guardava. Un modo sensuale, curioso, era un bello sguardo, anche se per me era imbarazzante. Mi guardava con un’attenzione che non avevo mai avuto».
Nelle tante interviste televisive, Vitti si confronta con gli attori che ha avuto al fianco, in testa Alberto Sordi che, una volta, in un salotto tv, confessa «ti voglio molto bene, la nostra amicizia è basata su amore e stima professionale». Secondo Barbara Alberti il loro fu «un grande amore senza letto». Rivisti oggi certi ruoli correrebbero il rischio di essere giudicati politicamente scorretti, basta pensare alle botte di Amore mio aiutami: «Molti suoi film – osserva Sandro Veronesi – potrebbero essere accusati di maschilismo». Per lei, invece, ogni personaggio è «l’interpretazione al femminile di un problema». Lungo il filo dei libri autobiografici, di cui Pilar Fogliati legge vari brani, il documentario tocca le tappe dell’incontro con Russo e dell’«ennesima trasformazione» di un’attrice «che non ha mai smesso di dialogare con donne sue simili».
La cronaca dell’incendio che nell’87 devastò la casa di Vitti, distruggendo gli oggetti più cari, compresi premi e riconoscimenti, suggerisce l’avvio di una fase tormentata, uno shock che lascia il segno: «Vedere la tua casa ridotta così è una cosa che ti fa impazzire». Da allora, forse, è iniziato il distacco dalla cornice del reale, Michele Placido racconta di aver saputo da qualcuno che Vitti ha l’abitudine di uscire all’alba per fare lunghe passeggiate a Villa Borghese: «Una mattina sono andato a fare footing e mi è parso di averla vista». Magari è una suggestione, ma se le persone vivono nutrite d’amore, la loro essenza resta, oltre i limiti di qualunque, dolorosa, sofferenza della mente.