La Stampa, 20 ottobre 2021
Intervista a Silvio Brusaferro
In questi giorni tra gli esperti ma anche nelle stanze della politica, è tutto un lanciarsi in previsioni su a quale livello di copertura vaccinale potrà essere raggiunta l’immunità di gregge. Quella per intenderci che non consente più a un virus di circolare. E quindi di riporre nel cassetto mascherine, Green Pass e tutto il restante armamentario di regole. Ma per Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss e portavoce del Cts, quell’obiettivo è un miraggio, «meglio concentrarci sulla riduzione al minimo di contagi e ricoveri», dice. Facendo però capire che un nuovo allentamento delle restrizioni è vicino.Professore, il suo Iss è stato in prima linea nella lotta al Covid, che effetto le fa ora vedere la vostra sede presidiata dalle forze dell’ordine in quanto «obiettivo» dei No Vax?«Provo sentimenti diversi. Di gratitudine verso le forze dell’ordine che con la loro presenza ci consentono di lavorare sereni. Ma anche di sconcerto, perché se il nostro Paese sta riuscendo meglio di tanti altri a contenere la circolazione del virus, consentendo così alle attività economiche e sociali di ripartire, questo lo si deve sia ai progressi della campagna vaccinale che alle misure di contenimento adottate, Green Pass compreso. Io però sono una persona portata al dialogo e credo che di fronte a questo dissenso di una minoranza sia importante far capire le ragioni della scienza e le chiare evidenze che la realtà ci propone».L’immunità di gregge è un obiettivo a portata di mano o un’araba fenice?«L’immunità di gregge, intesa come livello di immunizzazione che azzera la circolazione di un virus, non è obiettivo che ci possiamo porre con il SarsCov-2. Gli obiettivi sono altri: ridurre il più possibile la circolazione del virus ed i contagi e contenere al minino ricoveri e morti. Questo implica avere una massiccia copertura vaccinale della popolazione e garantirne la durata nel tempo».Ci sembra di capire allora che si va verso la terza dose per tutti...«Gli studi e le esperienze in corso ci stanno consentendo di valutare l’andamento della protezione immunitaria nelle diverse fasce di popolazione, comprese quelle più giovani e senza patologie. In questa prospettiva la terza dose potrebbe essere raccomandata».Dovesse resistere uno zoccolo duro di non vaccinati servirà a quel punto introdurre l’obbligo?«La cosa migliore sarebbe vaccinare tutti senza imposizioni ma facendo acquisire la consapevolezza che i vaccini sono sicuri ed efficaci. Grazie anche al Green Pass ultimamente sta aumentando il numero di italiani che si è fatto somministrare la prima dose, il che fa ben sperare. L’importante è raggiungere livelli di copertura elevati. Poi è chiaro che bisognerà fare la scelta migliore per il Paese, perché se da un lato c’è il diritto di scelta delle persone, dall’altro c’è il dovere di mettere in sicurezza la collettività e in particolare le persone più fragili riducendo la circolazione del virus.Quando crede che potremo dire addio alle mascherine?«Le mascherine sono uno degli strumenti che ci hanno permesso di contenere l’epidemia. Ora andiamo verso la stagione invernale e una vita più al chiuso, ed è prudente continuare ad usarle. Monitorando l’evoluzione del quadro epidemiologico, con circolazione del virus molto contenuta e con coperture vaccinali ancora più elevate si potrà meglio valutare il da farsi».Tornando anche agli stadi pieni?«Nelle prossime settimane si potrà valutare l’impatto delle riaperture e dell’innalzamento delle capienze. Se l’incidenza dei casi continuerà a scendere sarà possibile considerare un allentamento delle restrizioni».Dallo stato di emergenza invece quando usciremo?«Non ho la sfera di cristallo. Certo, l’avviarci verso la cattiva stagione induce ancora alla prudenza. E poi non dobbiamo dimenticare che il virus circola massicciamente in altri Paesi e fortunatamente viviamo in un mondo interconnesso. La valutazione però non sarà solo sanitaria».Tra chi non vuole vaccinarsi ci sono molti guariti dal Covid da più di sei mesi che sostengono di essere iper immuni. Veramente per loro sarebbe pericolosa anche una sola dose di vaccino?«Chiariamo subito una cosa: il vaccino è sicuro anche quando viene somministrato a una persona che ha già contratto l’infezione. Le Igg sono indicative della presenza di una risposta anticorpale ma le diverse tecniche di diagnostica utilizzate forniscono valori diversi non confrontabili. Tant’è che non esiste una soglia di anticorpi per considerarci protetti. E poi la memoria cellulare del virus non può essere valutata con i test sierologici. Quello che sappiamo invece è che una dose di richiamo a sei mesi dalla guarigione rafforza la risposta immunitaria. Anche se si hanno anticorpi in circolo».In Gran Bretagna con larga parte della popolazione vaccinata si contano oltre 40 mila casi e ben più di 100 morti al giorno, significa che anche con i vaccini uscire dal tunnel non è poi così facile?«Quello che sta succedendo nel Regno Unito conferma che non basta la copertura immunitaria, serve anche mantenere le misure di contenimento, come mascherine e distanziamento. Per uscire dalla pandemia dobbiamo camminare su entrambe le gambe. Serve tenere il più bassa possibile la curva dei contagi, ma anche alzare la quota dei vaccinati, in particolare tra gli over 50».La stagione influenzale si avvicina. È il momento di immunizzarsi anche contro il virus stagionale e lei consiglia di farlo insieme alla terza dose?«Si possono fare contemporaneamente, l’importante però è farli perché la stagione influenzale è alle porte e, oltre al disagio ed alla sofferenza legati alla patologia, si può creare confusione con i sintomi del Covid e appesantire così anche il carico diagnostico».La fine di quest’incubo sembra vicina. Ci lascia una sanità migliore o peggiore di prima?«Ci lascia una grande opportunità e una grossa responsabilità. Con il Pnrr ci sono le risorse per innovare e rendere più efficiente il sistema. Ma il Covid ha fatto anche crescere la consapevolezza che la salute, delle persone ma anche dell’ambiente e degli animali, è alla base dello sviluppo economico di un Paese. E poi la pandemia sta generando una nuova alleanza transgenerazionale. La risposta straordinaria dei ragazzi alla vaccinazione non può che farci guardare con maggiore speranza al futuro». —