Corriere della Sera, 19 ottobre 2021
Intervista a Richard Hatchett. Dice che è più facile trovare un vaccino contro tutti i coronavirus che uno contro l’influenza
«Non è il momento di dormire sugli allori. Ora che produciamo globalmente grandi quantità di vaccini – a fine anno saremo arrivati a 12 miliardi di dosi – e lentamente iniziamo a raddrizzare le diseguaglianze nella loro distribuzione, ci sono sfide che indicano il bisogno di investire nella ricerca. Gli obiettivi: ottimizzare i vaccini di cui disponiamo, ma anche sviluppare vaccini di seconda e terza generazione che siano sia resistenti alle varianti che più facili da somministrare e per esempio non richiedano la refrigerazione. Dobbiamo investire per restare un passo avanti al virus». Parla l’americano Richard Hatchett, già alla Casa Bianca con George W. Bush e poi con Barack Obama, oggi amministratore delegato di Cepi (Coalition of Epidemic Preparedness Innovation), partnership di soggetti pubblici e privati che co-gestisce Covax (con Oms e Gavi) per l’equa distribuzione dei vaccini ed è supportata dal G20 sul tema della preparazione alle epidemie del futuro. Cepi, che ha aiutato a finanziare l’iniziale sviluppo dei vaccini contro Covid-19, punta a raccogliere 3,5 miliardi di dollari per la riduzione del rischio epidemico e pandemico globale.
A che punto siamo nello sviluppo di vaccini di nuova generazione?
«Cepi ha aperto alle proposte per un vaccino che protegga dai betacoronavirus, cioè non solo da SARS-CoV-2 ma da Sars, Mers e altri coronavirus che emergeranno in futuro. Stiamo per decidere quali proposte appoggiare. Cepi ha già investito in alcuni vaccini di seconda generazione: non li avremo nel 2021; se siamo fortunati nel 2022. Oltre ad occuparci delle nuove varianti, c’è l’obiettivo di sviluppare vaccini più semplici da somministrare, che non necessitino di una rigorosa catena del freddo o che prevedano una singola dose. Con l’Università di Hong Kong abbiamo investito in un vaccino per via nasale, che possa bloccare la trasmissione del virus attraverso l’immunità della mucosa, proteggendo le vie aeree superiori. Questa è solo un’idea. Stiamo per annunciare un programma per un vaccino che includa altre parti del virus SARS-CoV-2, non solo la proteina spike ma un repertorio antigenico più vasto».
Perché questo è importante?
«Tutti i vaccini che abbiamo al momento usano questa proteina spike ma ci sono molte mutazioni in quella parte del virus, perciò dobbiamo sviluppare vaccini che non siano suscettibili a piccoli cambiamenti nella proteina spike o nel dominio legante del recettore: è necessario un diverso approccio concettuale in modo da anticipare anziché inseguire il virus».
Ricerche in corso
Vaccini per le varianti, ma anche più semplici da somministrare, per via nasale o senza frigoriferi
È possibile che si arrivi ad un vaccino universale contro tutti i coronavirus?
«Diversi virologi pensano che possa essere più facile arrivare ad un vaccino universale contro i coronavirus rispetto ad un vaccino universale per l’influenza, che non abbiamo ancora. Se ci riuscissimo, i coronavirus non sarebbero più una minaccia. E il Covid non è certo il peggiore: quando lavoravo per la Casa Bianca di Bush, i Centers for Disease Control and Prevention emanarono un indice di gravità delle pandemie modellato su quello degli uragani, con cinque categorie, basate sulla letalità e sul numero di vittime: il Covid è solo categoria 2 o 3 in questo modello. Sappiamo che esistono altri coronavirus di tipo Sars e Mers con tasso di letalità 20-50 volte maggiore del Covid, quindi penso che sia davvero importante la ricerca di un vaccino universale. Abbiamo la prova che è possibile ottenere un vaccino universale per una famiglia virale, per esempio quello che usiamo contro il vaiolo protegge contro tutti gli Orthopoxvirus».
Come dobbiamo immaginarci il futuro: continui richiami di vaccino contro i coronavirus?
«Alcuni vaccini forniscono immunità per tutta la vita, altri richiedono richiami ogni 10 o 5 anni, altri ancora come l’influenza sono annuali. Una possibilità è di avere richiami ogni 5-10 anni. Stiamo anche studiando l’approccio mix and match, cioè cosa succede se le persone usano un vaccino e fanno il richiamo con un altro: gli studi iniziali mostrano che mischiare, almeno in certe combinazioni, può generare una protezione più ampia. Nei prossimi anni ottimizzeremo i vaccini che abbiamo già e forse in questo modo potremo raggiungere un’immunità di lunga durata, ma sono necessarie ricerche. Potenzialmente, esistono diverse strade per superare la situazione attuale di dover fare richiami ogni 6 mesi. Per questo dobbiamo continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo, mentre allo stesso tempo ci assicuriamo che i vaccini siano accessibili all’intera popolazione mondiale».