La Stampa, 19 ottobre 2021
Intervista a Peter Márki-Zay. Parla della sua Ungheria corrotta e di come vorrebbe cambiarla
Sulle spalle di un uomo dal viso di bambino, il sorriso gentile e i modi pacati, pesa da ieri tutta la responsabilità – enorme – di dare battaglia allo strapotere di Viktor Orban, il premier ungherese imbattuto (e per molti imbattibile) dal 2010.
Sarà Peter Márki-Zay, a tentare di fermare la discesa dell’Ungheria nel «barato della dittatura» in cui è finita. Lui, un sindaco di una piccola città di provincia, Hodmezovasarhely, senza un partito alle spalle, ma forte di un consenso senza precedenti, ha stravinto le primarie dell’opposizione battendo la favorita, la socialdemocratica Klara Dobrev. Il «conservatore progressista», come si definisce lui, è riuscito nell’impresa impossibile di diventare il candidato di una coalizione di sei partiti d’opposizione, dall’estrema destra all’estrema sinistra, uniti per la prima volta per battere Orban alle prossime elezioni, in primavera.
Cattolico, padre di sette figli, cinque lingue parlate fluentemente, tre lauree (Economia, ingegneria e marketing), piace alla destra e alla sinistra, ma ci tiene a sottolineare di voler essere «il candidato dell’integrazione»: cattolico ma sostenitore dei matrimoni (civili) omosessuali, conservatore, ma favorevole all’inclusione e all’apertura a migranti e minoranze, quello che vuole è «ripristinare la democrazia e i diritti».
L’Ungheria oggi è una dittatura?
«È una dittatura corrotta. Corrotta come non si era mai visto in mille anni di Storia».
Su quali principi si basa la sua battaglia contro Orban?
«Intanto sulla necessità di ripristinare la democrazia. È assolutamente fondamentale garantire l’indipendenza del sistema giudiziario, così da poter iniziare ad aprire le inchieste su chi ha abusato dei fondi pubblici negli ultimi dodici anni, per esempio. Poi garantire che i media tornino indipendenti: oggi tra l’80 e il 90% sono di proprietà del governo o controllati dal governo. In secondo luogo, serve un’iniziativa anti-corruzione seria, efficace ed estesa e, per finire, dovremo cambiare la costituzione».
Anche voi volete cambiare la Costituzione?
«Sì, ma in un’altra direzione: i cambiamenti fatti da Fidesz sono serviti a creare un sistema “legale” che gli permetta di conservare il potere anche nel caso perdano le elezioni. Noi vogliamo fare l’opposto, con una Carta approvata dagli ungheresi».
Se vincesse, che tipo di governo sarebbe il suo?
«Un governo tecnocratico».
Cioè?
«Sono un candidato indipendente, non ho un partito e le inevitabili pressioni che questo comporterebbe. Credo che una squadra di esperti alla guida del Paese sia la soluzione più auspicabile. Ovviamente sarebbero espressione delle linee dei partiti della coalizione».
Lei è riuscito a mettere insieme anime apparentemente inconciliabili della politica, crede riuscirà a tenere insieme anche le anime del Paese?
«Vengo dalla campagna, sono cattolico, sono un sindaco di provincia, di Hodmezovasarhely, ex roccaforte di Fidesz, che in passato ho anche votato. Credo che gli elettori si fideranno di me».
Orban sembra temere la sfida e la accusa di essere un “professionista della sinistra”...
«Sono un cristiano conservatore prima ancora di Orban, lo sono sempre stato, è lui che è stato comunista».
Se fosse eletto cosa ne farebbe del muro anti-migranti?
«Lo terrei, credo che l’Europa abbia bisogno di una protezione, ma non com’è adesso: Orban viola i più basilari diritti umani, da cristiano ne sono inorridito, nega l’ingresso a profughi e rifugiati e fa passare invece i peggiori criminali».
E chi sarebbero?
«Quei 20.000 personaggi a cui è stato garantito un permesso di soggiorno perché hanno pagato milioni. E quelli non sono certo migranti in fuga dalla povertà e dalla guerra».
Come saranno i rapporti con l’Europa?
«Come dovrebbero essere, nel solco dello stato di diritto. L’80% degli ungheresi sono “fanatici” europeisti, tutto il resto è propaganda di Orban».
Come crede riuscirà a vincere?
«Combatterò opponendo la carità alla diffidenza, l’amore all’odio». —