la Repubblica, 19 ottobre 2021
Gli Struzzi di Einaudi tornano in libreria
Per i ragazzi cresciuti negli anni Settanta, gli Struzzi einaudianierano i libri imprescindibili.
Il Maestro e Margherita. Le Lettere gramsciane scelteda Spriano. Il partigiano Johnny. Le fiabe italiane
curatedaCalvino. LaStoria di Elsa Morante. Il Sovversivo di Stajano. A distanza di cinquant’anni, la collana bianca disegnata da Munari ci appare comeuna biblioteca di formazione dove ritrovare le letture comuni a un’intera generazione. E oggi quali sono i volumi classificabili come “essenziali”, per riprendere l’aggettivo usato nel 1970 nella scheda di presentazione dellacollana? L’idea di dare vita ai nuovi Struzzi è di Ernesto Franco, il direttore editoriale che ha scelto dicurare personalmente la serie.Ultimo timoniere nominatoda Giulio Einaudi, guida la casa editrice da ventitré anni, un periodo che coincide conquella che si potrebbe definire senza enfasi una rivoluzione culturale.
Ha ancora senso parlare di “libri essenziali”?
«Credo di sì, anche se la definizione puòapparire pomposa.Si dice che l’universosi espanda costantemente creandolo spazio in cuimuoversi.Un libro essenziale fa lo stesso: crea le cose dicui parlaecontemporaneamente creaanche lospazio in cui le troviamo per la prima volta. Un libro essenziale è quellochenon cede allacomodità del conosciuto».
È questa l’idea che anima i nuovi Struzzi?
«È questa la mia intenzione. Gli Struzzi era una delle tante collane che, a un certo punto,hanno finito di fare bene il loro mestiere. Ma iosentivo che era diversadalle altre: perfino nel nome portavacon sé l’anima della casa editrice di tutti i tempi».
Una sua caratteristica era la mescolanza di generi diversi, tra narrativa, poesia, saggistica, teatro, memorialistica. Intende mantenerla?
«Sì, non cisaranno vincoli di epoche, di luoghi, diforme o di generi.Sarà una collana universale, dove cercherò di portare il lettore einaudiano anche in territoriche gli sono meno conosciuti, in culturelontane anche dall’Occidente:il prossimoanno pubblicheremo, nellatraduzione di ChandraCandiani,unodei piùbei raccontidi viaggio e haiku diMatsuo Basho, ilpoeta giapponese che nel XVII secolodiede unasistemazione formaleal genere».
È questo che intendeva prima per
“spingersi oltre il limite”?
«Losconfinamento puòavvenire anchein ambito saggistico con ricerchenuovissime. Il primo titolo dei nuovi Struzzi è un libro di Giovanni Marginesu checiracconta un aspetto sconosciuto della Grecia antica, ovvero la capacità di Pericle di far quadrare iconti. Gettaun ponte tra duegrandezzechecredevamo incomparabili».
Rovescia il luogo comune per cui gli studi classici niente hanno a che vedere con la finanza.
«Qualcosadi più: cimostra comela democrazia e la trasparenzadei bilanci sianocontemporanei. Non è immaginabile l’una senza l’altra.
Questoci conduce a untratto degli antichi Struzzi che intendo conservare, ossia la vocazione civile di ciòche si racconta».
Tra i primi titoli figura un ritratto di Guido Rossa a firma di Sergio Luzzatto. Fu il primo operaio comunista vittima delle Brigate rosse.
«Dallasua morte è cominciata lafine delle Bierre. L’assassinio di Rossa contribuìa rompere la zona grigia di consenso intorno ai terroristi. È una figuraimportante, ma i lettori più giovanisannopoco oniente. La scommessaèproprioquelladi coinvolgerli con ritratti di italiani e di italianeche mantengano viva la tradizionedemocratica del Paese».
Lo Struzzo venne disegnato con un chiodo nel becco. Negli anni Trenta del Novecento rappresentava le avversità del fascismo. Quali sono i chiodi della contemporaneità?
«La crescitasproporzionata e sanguinosadelle diseguaglianze, da cuiscaturiscono non soloun profondo disagiosociale ma anche guerree morte.Abitiamo inunmondoincui i viaggidi lusso nello spazio convivono conl’età della pietra doveuomo sbrana uomo.Una disparitàchecolpisce ancheil nostro Paese».
Ma dal punto di vista di un editore di sinistra, a proposito posso definirla così o preferisce fare una postilla?
«Miva benissimo».
Dal punto di vista di un editore di sinistra, le diseguaglianze crescenti non mostrano anche il parziale fallimento di un lavoro culturale, politico e civile che attraversa i decenni?
«No, non la vedrei in questi termini. Sto rileggendo lo splendido saggio di Ortegay Gasset Miseriae splendore della traduzione : una caratteristica dell’agire umano, dice il filosofo, sta proprio nella sua parziale irrealizzabilità. Tutto quello che facciamo, dall’amore alla lotta per la giustizia, ha un tratto utopico e irraggiungibile.Questo vale anche per ilnostro lavoro,che devemantenere una fedeltà alle origini nella metamorfosidel tempoedel mondo».
Qual è il cambiamento più forte con cui s’è dovuto confrontare?
«Partirei da una stupefacente sorpresa: la vittoria del libro di carta, nella quale unadecinadiannifanonavremmo maiscommesso. Quanto allascrittura, è vero che ha perso centralità: oggi si scrivemoltopiù diprima masecondo regole proprie dell’oralità. Se però dovessi indicare l’invenzione che più hacambiato i lettori non avreidubbi: le serie tv».
Li ha cambiati o li ha sottratti alla lettura?
«Nonvoglio essere negativo. Diciamo che li ha cambiatiinnalzandone il livello di consapevolezza: oggi il possessodi complessemacchine narrative li ha resi lettori esigentissimi».
Ma la proposta editoriale nell’ambito della narrativa appare ovunque molto più standardizzata di prima.
«Nonsonod’accordo.Continuano a essercilibri belli che vendono bene.
Poi, certo, vendono di più tendenzialmenteletturemeno impegnative,maquesto èsempre accaduto.Nonvedo imbarbarimenti».
Dopo tanti anni alla guida della casa editrice, cosa definisce meglio il suo lavoro?
«Nonsonoancora prontoai bilanci, ma direi che il mio lavoro consiste nel fare i conti con la fantasia degli altri: sia nel misurarneilpeso economico sia nel confronto con l’invenzione della mentedegli autori.È unaroba un po’ da stregoni che consiste nell’abbinare i numeriel’immaginazione».
Perché ha scelto di dirigere la collana dei nuovi Struzzi? Il direttore editoriale dirige tutto, non la singola serie.
«Il lavoro dell’editor è la parte più affascinante del mestiere: trovare le voci, mettersi all’ascolto, scegliere, formare il lettore linea dopo linea. È il modopiù efficace per sventare il pericolocheminacciasemprela mia funzione, ossia il rischio di smarrire il contatto con il libro».
Lei fu scelto da Giulio Einaudi.
Come furono i vostri rapporti?
«Quandovenniassuntoincasa editrice, Giulio non era per niente contento.In realtà non miconosceva.
Ungiorno miportò aCamogliafare l’editingdi un libro non einaudiano a cui però lui teneva moltissimo. Tre giorni solo con lui in albergo davanti a untesto in cuiogni rigo contenevauna trappola:eraevidentemente un esame diammissione.
L’ultimamattina mi propose di fare il bagno tra gli scogli e là cominciò un interrogatoriosui nomi di ogni singolo pesciolino. “Ma non capisci proprio niente,non sai neppureil nomedei pesci!”. Me lo disse con il sorriso, smascherando leprovocazionidi quei giorni.A quelpunto compresi che era fatta».