la Repubblica, 19 ottobre 2021
Erdogan alla conquista dell’Africa
Alla prese con il crollo della lira e l’inflazione che continua a crescere, Recep Tayyip Erdogan vola in Africa – tappa in Niger, Angola e Togo per rafforzare i rapporti politici e commerciali nel continente, una strategia su cui il presidente turco ha investito fin dal 2005, con risultati importanti. In 16 anni, 15 viaggi di Stato, circa 30 Paesi visitati, il volume degli scambi commerciali turco- africani che è passato da 5,4 miliardi di dollari del 2003 a 25,3 miliardi di dollari del 2020.La Turkish airlines oggi vola su 39 Stati dell’Africa. L’Agenzia turca per la cooperazione ha più di 30 centri di coordinamento.La spinta agli affari l’hanno data in parte anche i competitor: i prodotti turchi costano meno di quelli europei e sono di qualità superiore rispetto a quelli cinesi. Ma gli accordi commerciali si sono retti anche su altre reti di relazione. Nel 2009 la Turchia aveva 12 ambasciate in Africa, oggi ne ha 43. Sono aumentate le scuole gestite da fondazioni come la Maarif, che ha più di 17mila studenti in 25 Paesi africani; sono cresciuti gli aiuti umanitari. L’idea sociale della brotherhood, la fratellanza come spirito di solidarietà, e la sua declinazione politica – il movimento dei Fratelli Musulmani – hanno avvicinato diversi Paesi africani a maggioranza musulmana. Al soft power di fondazioni e fede, poi, Erdogan ha unito il peso dell’industria militare turca.Nel tour di questi giorni, in vista del terzo summit Turchia-Africa che si terrà a dicembre, il presidente viaggia con una nutrita delegazione della Savunma Sanayii Baskan-l?g?, l’agenzia che guida l’industria della Difesa. Per diversi governi africani, dalla Tunisia al Marocco, dalla Libia all’Etiopia, i droni turchi sono diventati l’alternativa efficiente e meno costosa ai droni americani, difficili da acquistare se non dentro un quadro di regole e parametri da rispettare molto rigido. Finora, oltreché in Libia, la presenza di Ankara è stata visibile soprattutto nell’Africa orientale. In Somalia i turchi hanno la loro principale base militare fuori dai confini nazionali. In Etiopia sono il secondo partner commerciale, dopo i cinesi.Dal 2014, la Turchia si è concentrata sul corno d’Africa «perché era un’area di competizione con emiratini e sauditi, negli ultimi due anni ha dovuto giocare in difesa tagliando le risorse», ci dice l’analista Federico Donelli, autore di The Ankara Consensus: the significance of Turkey’s engagement in sub-saharan Africa. « Il viaggio di questi giorni di Erdogan rientra in una strategia di allargamento nell’Africa subsahariana». Il presidente vede nel parziale ritiro dei francesi dal Sahel un possibile spazio di manovra. A Luanda è tornato ad attaccare Parigi definendo «crudele» il colonialismo francese in Africa. Per Erdogan l’Africa è una “storia di successo” da spendere su un mercato politico interno agitato dalla crisi economica. Ma la Turchia ha i mezzi per sostenere le proprie ambizioni africane e quanto giovano davvero ai suoi cittadini? Tra Ankara e Istanbul cominciano ad alzarsi voci critiche. «Da un punto di vista commerciale dei ritorni ci sono stati», osserva Donelli. Che poi «la Turchia abbia le risorse per giocare una partita su un tavolo non suo in competizione con francesi e cinesi è da vedere».