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 2021  ottobre 19 Martedì calendario

Il secchione, il barbuto, il lungo e l’ingegnere si sono presi Torino


TORINO – Il secchione, il barbuto, il lungo e l’ingegnere si sono ripresi la città. Il secchione ha messo la giacca scura sopra i jeans e una cravatta color notte sopra la camicia bianca, si è vestito da “prufesùr” perché quello fa nella vita, anzi faceva, e ha allargato un bel sorriso sul faccione da Charlie Brown. Perché adesso Stefano Lo Russo, 46 anni da quattro giorni, cattedra di geologia nel monumentale Politecnico, potrà fare solo il sindaco. Come già fecero il barbuto (Chiamparino), il lungo (Fassino) e l’ingegnere (Castellani), cioè gli ultimi comandanti della città prima della parentesi chiusa di Chiara Appendino. Ieri erano tutti intorno al ragazzone: Lo Russo batte Paolo Damilano di quasi 19 punti, non c’è stata partita ma è stata una bella partita.
«Sarò il sindaco di tutti, Torino ha bisogno di costruttori e pacificatori. La mia vice sarà una donna, avrò una giunta a maggioranza femminile e faremo ripartire la città», ha detto il secchione prima di complimentarsi con l’avversario («Damilano ha avuto stile») e dedicare la sua elezione a un vecchio amico prete che non c’è più: «Don Aldo Rabino è stato il mio maestro e la mia guida, da lassù ci vede e sarà contento». Fa effetto un sindaco di sinistra, juventino, che pensa subito al suo padre spirituale, ex cappellano del Toro. Rende l’idea del personaggio e di una moderazione di sostanza, molto inclusiva. Ancora qualche giorno e gli daranno del buonista: «Questa città ha bisogno del contributo di tutti».
La chiamavano il fortino di Asterix, Torino, quando resisteva e impediva alle destre di entrare a Palazzo Civico, cosa che del resto accade da 70 anni. «I torinesi hanno avuto paura del cambiamento», commenta Damilano, re delle acque minerali, «però noi vigileremo affinché neppure un euro del Pnnr vada sprecato e nessuno resti indietro. Il nuovo sindaco si prenda cura di Torino nel momento più complicato della sua storia».
Il secchione dovrà gridare nel silenzio di una città depressa e assente, auguri. Il 57,87 per cento non è neppure andato a votare, di gran lunga il primo partito torinese. Tre elettori su cinque sono rimasti a casa, peggio che al primo turno: la mappa delle periferie, da Barriera di Milano fino a Mirafiori dimostra che la sfiducia nella politica è sempre più profonda, specialmente da parte chi si sente dimenticato.
Ma quelli che invece due passi al seggio li hanno fatti, stavolta hanno scelto chi si era portato una sedia anzi due, pieghevoli, una clessidra, un bloc notes e una biro, e nei parchi e nelle piazze si era messo in ascolto: 50 mila torinesi si sono confessati con don Stefano, un passato da animatore parrocchiale e un viso effettivamente un po’ da curato di campagna. La strategia dell’ascolto è stata premiata, ma ora che la seggiola pieghevole è diventata il trono di Palazzo Civico, gli appunti presi andranno usati. Perché la gente chiede conto finché ci crede, poi se ne va.
Anche a Torino, come a Roma, soltanto polvere di 5 Stelle. Ben pochi tra loro, quasi cancellati al primo turno, sono andati a votare al secondo: si era discusso di apparentamenti (evitati) e ammiccamenti, ma alla fine il gruzzolo grillino è rimasto sotto il materasso, ormai moneta fuori corso. Per tentare la quasi impossibile rimonta, Paolo Damilano ha cercato di coinvolgere gli assenti della prima ora, rimasti tali anche nell’ultima. Inutile la comparsata di Salvini alla bocciofila di periferia, troppo tardi, ormai Torino era già persa.
Ha studiato tanto da sindaco, Lo Russo, ma non è un uomo di apparato, semmai un uomo-macchina. Proviene da una famiglia modesta, che lo mandò all’Itis perché temeva di non riuscire a portare alla laurea quel figlio sgobbone e testardo. Essersi issato dall’Istituto Tecnico fino alla cattedra del “Poli” è una grande nota di merito per questo esperto idrogeologia, tra i massimi in Europa, che per pagarsi gli studi faceva il gelataio e il pony express, sfrecciando sul mitico Ciao e fondendo il motore della Fiat Uno di mamma. Viene dal basso, il secchione, e non ha dimenticato.