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 2021  ottobre 19 Martedì calendario

Michetti chi?

Problema: ci ricorderemo un giorno di Enrico Michetti?
Negli ultimissimi giorni, ormai esausto e tramortito dalla sarabanda e dall’ambaradan della campagna capitolina, gli avevano messo in calendario, poveraccio, nientemeno che una gita in mongolfiera. Quando maneggiano gli “esterni”, gli uomini e le donne dei partiti manifestano una certa dose di inusitato sadismo, per cui prima li proclamano “tribuni”, poi ne fanno carne di porco, con rispetto parlando, e poi addirittura li vorrebbero spedire fra le nuvole.
Per cui, imbacuccato come un esquimese e non si capiva bene in compagni di chi, da Tor di Quinto Michetti sarebbe asceso nel gelido cielo dell’Urbe risvegliando un sogno poetico degno di Fellini. Ma niente: al momento di volare, vento avverso e Michetti è restato a terra, per la delizia dei presagi e la gloria delle metafore.
Adesso è facile dirlo e ci si sente anche un po’ in colpa a infierire, ma tutto fin dall’inizio è andato così male che viene da chiedere agli strategoni del centrodestra come fosse possibile prevedere altrimenti. Candidatura non solo improbabile, raffazzonata e temeraria, ma decisa per vie traverse, capolavoro di orgoglio tignoso e autolesionistico. Esito scontato o, come ha detto lui, «laconico». In due parole: sacrificio umano.
Conoscendo il pollaio del centrodestra, si può immaginare che trovandosi Salvini e Meloni in disaccordo su tutto, abbiano finito per accordarsi sul nulla, o quasi. E insomma, c’era questo conduttore radiofonico che piaceva tanto ad Arianna Meloni, sorella, e al cognato Lollobrigida; pare di vederli a casa loro, deliziati dalle arguzie di Michetti, reazionario del genere «si stava meglio quando si stava peggio», imperatore del luogo comune, uno che la sa lunga e non manca di esibirlo pure al cenone di Natale. Però affabile e «pre-pa-ra-tissimo!».
Fra capriccio e casualità, il brivido del casting ha sostituito le antiche trafile: «Prendiamo Michetti!».
Preso. Meloni (soy Giorgia) disse: «È Mister Wolf»; Salvini non si oppose; lo sventurato rispose. Era maggio inoltrato quando pronunciò il suo primo grido di battaglia: «Bisogna tornare ai fasti della Roma dei Cesari e dei Papi». I romani sono naturalmente scettici riguardo ai guai della loro città, ma in parecchi si chiesero chi fosse questo dei “fasti”. Al che Francesco Storace, che è un uomo spiritoso, ne sottolineò la modesta fama con un mini-apologo: «Ieri ero a San Pietro e tutti si chiedevano chi fosse quello vestito di bianco vicino a Michetti». E insomma, posto che la divinità infila le dita negli occhi di quelli che vuole affossare, il [/BASE] campaign management michettiano scelse di cavalcare proprio la scarsa popolarità del preteso tribuno e in attesa dei fasti, tappezzò Roma di manifesti recanti l’enigma: «Michetti chi?».
E peggio, perché nello sforzo di farlo smettere con gli antichi romani e i loro acquedotti «meravijosi», nessuno si preoccupò di cancellare le tracce che l’aspirante sindaco aveva lasciato negli archivi di Radio Radio, un tesoro di vanità stentorea e ciarliera su temi ultrasensibili: contro i vaccini, sull’igiene del saluto romano, la Wehrmacht, Hitler, il Papa e i limiti professionali della gente di colore. Hai voglia poi con le scuse! Peccato solo non siano emerse anche le intemerate a favore di chi, improvvisandosi delatore, denunciava i coltivatori di cannabis sul terrazzino di casa. In compenso venne fuori come Michetti, che a suo tempo faceva comunella con il segretario del Pd, avesse distribuito materiale propagandistico indovina di chi? Di Gualtieri. Pure il resto è spasso.
Programma scopiazzato, ma con originale progettualità storico-baracconesca a base di gladiatori, bighe, crociati, trionfi imperiali, simulazione dell’assassinio di Giulio Cesare, processione di vestali, evvài.
Rimane irrisolto l’interrogativo iniziale sulla persistenza di Michetti nella memoria. Se le bolle della politica evaporano in fretta, la realtà è sempre più grave delle chiacchiere e degli strepiti che le danno forma e sostanza.