Il Messaggero, 19 ottobre 2021
Ritratto del neosindaco Roberto Gualtieri
Festeggia Gualtieri. Ma avverte: «Festeggiamenti brevi, perché dobbiamo subito metterci al lavoro». Il Secchione resterà tale – gli è più facile leggere le carte amministrative che fare un tweet – ma cercherà il neosindaco di diventare anche Roberto l’Empatico. «Questa campagna elettorale mi ha cambiato molto, il contatto con le persone mi ha inebriato ed è stato un bagno di conoscenza per me», confida Gualtieri. Il quale il suo profilo da primo cittadino lo vede così: un sindaco inclusivo, aperto, coinvolgente. Non un uomo di partito o di parte. Perché proprio da politico di professione ha capito quanto la disaffezione elettorale sia profonda e vada recuperata con attenzione e pazienza perché le città, e Roma che è l’urbe per eccellenza, non si governano senza larga partecipazione civica.
La metamorfosi di Gualtieri, che dalla militanza nella Fgci da ragazzo, alle lotte della Pantera e anche nei suoi studi da professore di storia, è sempre stato orgogliosamente a sinistra e con grande fiducia nel ruolo dei partiti, sarà connessa all’epoca che stiamo vivendo: nella quale oltre la metà degli elettori non si è recata alle urne come gesto di rifiuto. Rilanciare la politica come l’arte, post-ideologica e non divisiva, del fare: questa la scommessa per convincere i disaffezionati e creare condivisione sul rilancio di Roma. La biografia di Gultieri – nato il 19 luglio del 66, segno zodiacale del Cancro che lo rende realista ma anche malinconico come la bossanova che suona alla chitarra alternandola a Bella Ciao, natali a Porta Metronia ed elementari alla Manzoni dove poi sarebbe andato il suo Totti, liceo Visconti, laurea in storia contemporanea alla Sapienza dove è prof associato – e anche il carattere pacato del personaggio possono valere a garanzia di una condotta da sindaco non marziano: estremamente aderente a una vita trascorsa a Roma e a un tratto molto profondamente romano che è quello di una persona che non strappa e che cerca di mediare. Perciò da europarlamentare per 10 anni, dal 2009 al 2019, ha avuto dal 2014 il ruolo di presidente della Commissione per i problemi economici e monetari, uno di quei posti strategici dove far combinare tutti gli interessi nazionali e della Ue per lo sviluppo e per la crescita. I colleghi tra Bruxelles e Strasburgo non fanno che raccontare: «Serio e gran lavoratore». È il format che Gualtieri, origini tra D’Alema e l’Istituto Gramsci, allievo del filosofo Beppe Bacca e grande amico di Claudio Mancini, deputato di famiglia comunista doc e il primo a credere alla candidatura di Roberto al Campidoglio, porterà anche nel suo nuovo ruolo. Non sarà un sindaco spettacolare ma è deciso a diventare almeno un po’ più pop di quanto lo sia stato finora. Nonostante l’ex ministro sia stato il primo, tra quelli del governo Conte, ad iscriversi a TikTok.
Parla inglese, francese, portoghese e tedesco Gualtieri, ha l’Europa sulla lingua e nelle corde. E Roma come Parigi e Berlino, forte come una sorta di città-stato, è il suo sogno non più nel cassetto di deputato – vinse le suppletive nel collegio di Roma Centro – ma di titolare del Campidoglio: vuole ridare a questa metropoli la proiezione continentale e planetaria che le attiene.
COME SARÀ
Non sarà un sindaco piacione – non è nel suo stile – ma un sindaco rutellianamente, e infatti si consulta ogni tanto con Rutelli, con naso e orecchie rivolte a terra, a sentire l’odore dei problemi di Roma e il battito di un ricominciamento che, molto, dipenderà da lui. La prima telefonata dopo la vittoria è a Draghi. Il rapporto stretto tra Campidoglio e Palazzo Chigi diventa immediatamente il cuore operativo della nuova sindacatura. E già la settimana prossima il primo passo sarà inserire i soldi del Giubileo 2025 – di cui Gualtieri sarà commissario straordinario come lo fu Rutelli con successo per l’Anno Santo del 2000 – nella legge di bilancio in Parlamento: «Servono due miliardi», è la cifra indicata da Gualtieri. L’altro passo, da subito, è quello della formazione della struttura per la candidatura di Roma a Expo 2030. E la squadra di Gualtieri? Lui non sarà – «Ho sempre preferito giocare insieme agli altri, non sono quello che prende la palla e fugge sulla fascia», racconta agli amici – l’attaccante di sfondamento e la superstar. E neanche, pur essendo politico-politico-politico, il liderista solo al comando ma avrà molti tecnici al fianco con cui condividere la vita nuova per lui e per la sua città. «Includere e allargare», ribadisce. Gualtieri ha una convinzione e un cruccio che non nasconde. Dovrà rappresentare non solo quel romano su quattro che lo ha votato, ma appunto anche quelli che non lo hanno votato e quelli che proprio non sono andati a votare. Ecco, c’è un problema di rappresentanza che a Gualtieri è chiarissimo. «Fin dai tempi del liceo», racconta chi è stato con lui nella Fgci, poi nel Pci e poi nel Pd di cui è uno dei dirigenti maggiori, «lo spirito settario non gli è mai appartenuto. Ha il Dna di un riformista e un rispetto sacrale per le istituzioni». E il Campidoglio è per eccellenza l’istituzione più antica ma anche futuribile.
IL SEGNO
Il ragionamento che sta alla base della Roma che verrà, secondo Gualtieri, è che le risorse pubbliche tornano a fluire copiose con il Pnrr e con il Giubileo, però saranno necessarie una nuova progettualità in materia urbanistica e una rinvigorita capacità amministrativa perché possano essere usate al meglio. Il Recovery, con le grandi imprese semipubbliche che svolgeranno un ruolo fondamentale nella sua implementazione (Enel, Eni, Ferrovie, Terna, Leonardo, Snam, Tim, Open Fiber, Cassa depositi e prestiti, per citare le più importanti che hanno sede a Roma) potrebbero portare su Roma l’asse del potere economico con l’indotto di servizi professionali e finanza. Ovviamente per svolgere questo ruolo la Capitale dovrà avere infrastrutture, anche digitali, nuove e una mobilità adeguata. La scommessa del Secchione diventato Sindaco sarà dunque quella, al netto delle questioni di necessità da risolvere, ovvero la gestione ordinaria della città, della grandezza di Roma e della sua proiezione sul palcoscenico del mondo. Lui si sente attrezzato per questo cimento storico. E nel suo sorriso di queste ore sembra esserci scritto: in hoc signo vinces.