Specchio, 17 ottobre 2021
Che fine ha fatto Andrea Pezzi
Andrea Pezzi dice che il suo orgoglio è avere sempre fatto qualcosa di nuovo, di aver inventato in ogni campo «qualcosa che prima non c’era». E dice anche che la tv è come la varicella, meglio farla da giovani, perché «cercare da adulti quel successo lì, quello per cui tutti conoscono la tua faccia, è il motore più sbagliato che ci sia per fare le cose».
La traiettoria di Andrea Pezzi è particolare, forse unica: la voce, anzi, il volto di una generazione, appena prima e appena dopo il 2000 (lui è del ‘73, compirà 48 anni a novembre) è ora un imprenditore digitale. Dalla superficie più luccicante e moderna della comunicazione (prima Radio Deejay, poi Mtv per finire a Mediaset dopo un passaggio in Rai) è passato all’interno del meccanismo che la regola, a lavorare sugli ingranaggi del sistema.
Qualche giorno fa ha annunciato un cambio di nome e di obiettivo della sua società, che ora si chiama Mint e che - parole sue - si occupa di «automatizzare le analisi del mercato digitale con l’uso dell’intelligenza artificiale».
In pratica, pare di capire, Mint è in grado di vedere come si muovono i grandi numeri (i famosi big data) sugli sconfinati territori digitali in cui trascorriamo buona parte delle nostre giornate e di consigliare a chi vuole investire dove e come muoversi per raggiungerci meglio. Interessante, ma anche spaventoso. O no? «È importante spiegare questo aspetto», concede Pezzi. «Non ci occupiamo di profilare gli esseri umani: i dati individuali possono portare alla manipolazione, ed è successo, ma noi ci interessiamo solo della punta dell’iceberg.
Pezzi oggi è il maggior azionista di un gruppo che si chiama Gagoo a cui fanno capo quattro società attive nel digitale. Su LinkedIn e altrove si definisce «imprenditore». «Con me lavorano tutte persone che sono più brave di me in quello che fanno. Io ci metto un po’ di follia, la spinta imprenditoriale e soprattutto l’umiltà, la capacità di ascoltare. Ed è bellissimo, non c’è paragone con la gratificazione del successo televisivo. Quella era la stanzetta dei giocattoli, questo è lavoro vero e si fa con gli altri».
L’ultimo programma televisivo memorabile firmato da pezzi risale al 2006. È Il Tornasole, con lui c’era anche Morgan. L’addio alla tv non fu traumatico, tutt’altro. «Nel 2001 feci un programma che si chiamava 2008 e per me quello era l’anno in cui avrei cambiato mestiere. Era tutto previsto, ciò che mi fece decidere fu l’11 settembre, con quei filmati non professionali degli aerei che colpivano la torri gemelle, e il Grande fratello, che vidi per la prima volta a Milano con Carlo Freccero e Davide Parenti, noto autore televisivo. Capii in quel momento che un’epoca finiva, l’epoca dei grandi conduttori e autori televisivi che anch’io mitizzavo, l’utente sarebbe diventato protagonista, il mondo dei contenuti avrebbe viaggiato su binari nuovi. Si era rotto lo schermo. Ricordo di essere entrato nella radio in cui lavoravo e di aver visto un cinquantenne che faceva il ragazzino. Mi sono detto: voglio essere qui a 50 anni a fare l’imbonitore? Volevo fare, non rappresentare, volevo stare in mezzo alla strada».
La prima impresa fu un disastro. «Un fallimento totale, ma bellissimo. Senza Ovo, questo era il nome del progetto, oggi non sarei la metà della persona che sono. Mi chiesero di pensare un contenitore nuovo, digitale, per gli spot sul web. Inventai una specie di Wikipedia video, Ovo appunto, per cui sarebbero serviti investimenti cospicui. Mi ritrovai solo, scoprendo una verità che ora guida le mie azioni: non diventare mai socio di qualcuno i cui problemi sono più grandi dei tuoi. L’ingenuità non è giustificabile, ma non ho rimpianti. Vendetti casa, pagai i debiti dell’azienda e ripartii da zero. Fondai TheOutplay, piattaforma di distribuzione di video, poi Myintelligence che è diventata Mint. Oggi guardo con grande rispetto gli imprenditori che hanno saputo rialzarsi dopo un errore».