Specchio, 17 ottobre 2021
Biografia di Enrico Lucherini raccontata da lui stesso
La folgorazione arrivò una sera, su quello che era il suo teatro di guerra e di vittoria, la via Veneto del 1958: «Tutti i giorni ero lì, passavo da un bar all’altro, quella volta sentimmo all’improvviso un gran botto. C’era stato un incidente, due macchine si erano tamponate, corremmo a vedere cosa fosse successo. Vidi che sul sedile posteriore c’era Sylva Koscina accasciata, sconvolta, mi avvicinai, le chiesi "chiamo un’ambulanza?". E lei, subito, "ma che sei matto? Chiama i fotografi"». In quell’attimo Enrico Lucherini, 89 anni, romano, inventore di una versione italiana, unica e irripetibile, del mestiere di press-agent, capì che i paparazzi sarebbero stati per sempre i suoi alleati, la milizia armata di flash che avrebbe illuminato le sue scoperte, le sue dive, le sue bugie meravigliose, i suoi litigi memorabili: «La prima volta che andai a via Veneto mi resi conto che era un mondo facile da esplorare, ci venivano tutti, non c’era un altro posto così. Gli unici che lì non apparivano mai erano Federico Fellini e Sophia Loren».
Quando ha deciso che questo sarebbe stato il suo mestiere?
«Sono figlio di un medico, per accontentare mio padre avevo iniziato a frequentare la facoltà di Medicina e Chirurgia, ma, dopo due anni, ho abbandonato, mi sono iscritto all’Accademia d’Arte Drammatica e, all’inizio degli Anni 50, ho cominciato a recitare nella "Compagnia dei Giovani", facendo piccole parti. La prima conferenza stampa l’ho organizzata per loro, durante una tournée in Sud America, ogni volta che arrivavamo in una nuova città prendevo contatti con i direttori dei teatri, con la stampa locale, con l’Ambasciata e con i corrispondenti italiani. Alla fine di quel viaggio fu Rossella Falk a consigliarmi di continuare a fare quel lavoro, che, allora, in Italia, non esisteva. Da allora ho lavorato con i registi più vari, chiamavano tutti me».
Chi fu il primo della lista?
«Appena seppe che non facevo più l’attore, Mauro Bolognini mi volle per il lancio de La notte brava, del cast facevano parte le attrici più importanti dell’epoca, Elsa Martinelli, Rosanna Schiaffino, Anna Maria Ferrero, tutte nei ruoli di prostitute di strada. La sera della prima mi venne in mente di farle immergere nella fontana che era davanti al cinema, vennero fuori tutte bagnate, molto più erotiche che con i normali abiti da sera, non si era mai vista una cosa del genere».
A quando risale il primo incontro con Sophia Loren?
«Sophia è da sempre il mio mito. L’ho conosciuta quando avevo 27 anni, all’aeroporto di Ciampino, lei rientrava dall’America, dove aveva appena girato con Peter Sellers La miliardaria. Gli uffici stampa li conosceva bene, negli Usa aveva recitato in sette film, ci era rimasta per cinque anni. Continuava a scrutarmi, ero un ragazzo, lei era abituata a trattare con gente molto più adulta. Il primo film insieme fu La ciociara».
Come andò?
«Con Sophia si lavorava seriamente. Per esempio la scelta delle foto di scena lei la faceva alla fine delle riprese, le guardava tutte e poi decideva quale andava bene e quale no».
L’immagine più celebre della "Ciociara" è quella in cui Loren tira il sasso, inginocchiata per terra, sconvolta, con gli abiti strappati. Fu lei a sceglierla?
«No, per i poster pubblicitari la casa di produzione Titanus voleva diffondere un’altra foto, a colori, in cui si vedeva Sophia abbracciata alla bambina. Fu io a convincerla che era meglio l’altra, le dissi "Sophia ma che ti frega di apparire bellissima?". La Ciociara non doveva colpire per la bellezza, lei lo capì. Siamo diventati molto amici, di me si fidava, appena finite le riprese con De Sica cominciò a girare Boccaccio 70, un film dopo l’altro, e poi l’Oscar e tutto il resto».
Con Gina Lollobrigida non ha mai avuto a che fare?
«Mai conosciuta, ci odiava perché lavoravamo con la Loren e non con lei».
Poi, però, vi siete incontrati sul set de "La romana" con Francesca Dellera, dove ci furono scintille. Come mai?
«Fu un inferno, ma anche un lancio clamoroso. Trent’anni prima la Lollo aveva interpretato, nel film di Luigi Zampa, il ruolo della figlia. Nella miniserie diretta da Giuseppe Patroni Griffi le parti erano scambiate e la ragazza la faceva Dellera. Succese di tutto, le due non si amarono affatto, la Lollo non sopportava la voce della Dellera che ripeteva battute a suo tempo pronunciate da lei, le dava troppo fastidio. In particolare ricordo quella in cui avrebbe dovuto dire "Vieni qui Adriana, figlia mia bella", non ce la faceva, arrivò a spiegare a Patroni Griffi che quella frase l’avrebbe detta con gli occhi».
È stato artefice del lancio del "Gattopardo". Quella volta che cosa si fece venire in mente?
«Stavamo andando al Festival di Cannes, lungo la strada, poco prima di arrivare, avevo visto un piccolo circo. Sono tornato indietro per chiedere se avevano animali, c’era un piccolo ghepardo, l’ho portato all’Hotel Carlton per fargli fare le foto con Claudia, Luchino e Burt Lancaster. Costò tantissimo, c’era bisogno di un accompagnatore che lo tenesse legato con un catenella, ma gli scatti erano bellissimi».
L’intelligenza delle attrici o delle aspiranti tali stava nel prestarsi alle sue invenzioni, anche le più audaci. Per esempio?
«Erano tutte d’accordo. Per il lancio di Mondo di notte, scritto da Gualtiero Jacopetti, puntai su Dodò d’Amburgo, stella nascente nell’ambiente dello strip-tease. Ero stato invitato all’inaugurazione, in via Condotti, di una serie di vetrine di Schubert, c’erano tutti, un’occasione pazzesca. Chiesi a Dodò di venire completamente nuda, coperta da una pelliccia di zibellino, con un velo nero sulla testa. A un mio segno convenuto avrebbe dovuto cadere a terra, senza la pelliccia. I fotografi impazzirono, le segretarie di Schubert ci cacciarono immediatamente, il giorno dopo tutti i giornali titolavano sulla "Vedova nera Dodò d’Amburgo"».
In platea, durante il suo spettacolo "C’era questo, c’era quello", siederanno alcune delle sue attrici, in veste di testimoni interrogate sui fatti. Chi ci sarà?
«Sandra Milo racconterà quando, durante le riprese, di Vanina Vanini la sua parrucca, troppo vicina ai candelabri, prese fuoco e Rossellini dovette strappargliela dalla testa. Monica Guerritore ricorderà come e perché, vedendo per la prima volta il suo film Fotografando Patrizia, capì che era molto più forte e esplicito di quanto avesse pensato. Non si era accorta della presenza di una seconda cinepresa, collocata in modo da riprendere zone più intime. Lo scoprì a cinque giorni dall’uscita di 250 copie in tutt’Italia, quando non si poteva più tagliare niente. Ci sarà anche Eleonora Giorgi, spiegherà perchè lei e Ornella Muti si erano prese a botte e a borsettate, nel momento del loro massimo fulgore. E io mostrerò le foto che immortalano la scena».
Erano tutte «lucherinate», giusto?
«Ah non lo so, questa parola l’avete inventata voi giornalisti».
Sul set della fiction tv "Rebecca, la prima moglie", Mariangela Melato ebbe un mancamento. Che cosa successe?
«Svenne proprio durante la scena dell’incendio, arrivarono i pompieri e la portarono via a braccia. Quel giorno non ero potuto andare sul set, le davo istruzioni per telefono, era terrorizzata».
Ha dichiarato che, tra le sue invenzioni più riuscite, c’è quella legata al debutto di Florinda Bolkan in "Metti una sera a cena". Perché?
«Florinda era totalmente sconosciuta, la portai al ballo che la produttrice Marina Cicogna aveva organizzato a Venezia, notai che Richard Burton continuava a guardarla, li feci danzare insieme, Florinda e Richard, per pochi minuti, il tempo di uno scatto. Tenni ferma quella foto per tre mesi e poi la feci uscire quando iniziarono le riprese del film. La Taylor scrisse a Cicogna, accusandola di aver approfittato della sua fiducia, Bolkan divenne subito famosa».
Ad ispirarla, nelle sue imprese, c’era anche un’altra Italia, politica, sociale, religiosa.
«Nel ‘62, per fare pubblicità al film Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich organizzammo, insieme a Matteo Spinola, con cui lavoravo in coppia, una campagna di manifesti pubblicitari. Roma fu tappezzata di scritte "Via Sodoma e Gomorra, questa è la città del Papa"».
Tra le sue scoperte c’è Monica Bellucci. Come vi siete conosciuti?
«L’ho vista nel film tv di Risi Vita coi figli, l’aveva scoperta lui, noi l’abbiamo conosciuta sul set, era già una top model affermata, molto abituata alla disciplina e quindi sempre perfetta, in tutto. Ricordo che parlava con il suo accento, di Città di Castello, ma Risi la voleva proprio così».
Ha detto che, all’epoca dei suoi esordi, Via Veneto era il quartier generale, una fonte inesauribile di storie e di contatti. Chi incontrava più spesso?
«Aver lavorato con la "Compagnia dei giovani" mi aveva molto aiutato, era il gruppo teatrale più importante del momento, stavo sempre con Rossella Falk, Luchino Visconti, Giuseppe Patroni Griffi, Umberto Orsini. A Via Veneto ogni bar aveva il suo clan, da "Doney" c’erano La Capria, Francesco Rosi e sua moglie Giancarla, al "Cafè de Paris" trovavi Vittorio Gassmann, Ennio Flaiano, da "Rosati", a Piazza del Popolo, andavano Antonioni e la Vitti, si incontrava chiunque. Anche il Re Faruk con la sua amante, la cantante lirica Irma Capece Minutolo. Da me ribattezzata Irma Capace di Tuttolo».
Perché?
«Lei l’ha mai visto Faruk?».
Le sue battute hanno fatto storia, in giro c’era più ironia e autoironia. Poi che cosa è cambiato?
«Da qualche anno ho deciso di smettere, mi sono accorto che non è più divertente. I produttori hanno cominciato a chiedere solo cose ufficiali, senza niente che possa disturbare gli attori, vogliono solo la conferenza stampa d’inizio del film e poi quella per presentarlo. Prima era tutto diverso, si organizzavano feste enormi, c’era un lusso sfrenato, esagerato, adesso prevale il desiderio di intimità. Poi il Covid ha dato il colpo finale, allentando anche certe frequentazioni».
Di che cosa è più soddisfatto?
«Mi sono fatto dei grandi amici, che mi sono rimasti accanto per tutta la vita».