La Stampa, 18 ottobre 2021
Intervista a Michel Houellebecq
Torino
Michel Houellebecq è arrivato a Torino nel tardo pomeriggio di sabato. E, spiazzante come al solito, pur essendo la vera stella supernova di questo Salone del Libro, non ha preteso né suite a 5 stelle né tantomeno un cachet. Una condizione però l’ha posta: «Una camera dove si possa fumare, meglio se con un balcone, altrimenti non prenotate neppure l’aereo». Accontentato. All’hotel vicino alla stazione di Porta Nuova, dove gli abbiamo offerto una birra, si è presentato chiuso nello stesso Barbour da «intellettuale un filo nichilista» (definizione di una lettrice che dichiara di aver letto Serotonina tutto in una notte) che indossava anche ieri, fra i velluti rossi dell’Auditorium del Lingotto. Qui ha ritirato dalle mani del «giudice monocratico» Marco Missiroli, il 47° premio Mondello. Davanti a Elisabetta Sgarbi, l’editrice della Nave di Teseo che pubblica i suoi romanzi, e al direttore del Salone Nicola Lagioia che non esita a definire l’evento «un incontro che dal punto di vista letterario passerà alla storia», l’autore delle Particelle elementari annuncia di avere finito un nuovo libro, senza scendere in troppi dettagli: «Sarà una storia deprimente, mi manca ancora il personaggio femminile ma lo troverò». L’Auditorium è stracolmo e silenzioso come una cattedrale. E qui comincia il dialogo tra Marco Missiroli e il suo ruvidissimo mito letterario: Michel Houllebecq che trova meraviglioso il fatto di essere non solo tradotto in italiano, ma anche nella lingua dei segni.
Chi era Houellebecq prima dell’Estensione del dominio della lotta?
«È lunga da spiegare, sono vecchio. Ho cominciato leggendo poesie in pubblico e poi le ho pubblicate. Ero uno scrittore promettente, non avevo ancora un grande successo e non ero troppo polemico, perché per essere molto polemici bisogna avere un grande successo. Poi è arrivato tutto insieme con Le particelle elementari. Mi sono reso conto che sapevo scrivere romanzi, ma non sarei in grado di scrivere un saggio».
Come si trova un uomo tranquillo come lei alla ribalta del demonio?
«Chi è violento nella scrittura è molto dolce nella vita, perché la scrittura è liberatoria e viceversa. Diffidate di chi scrive cose dolci, è gente pericolosa».
C’è sempre un principio amoroso alla base dei suoi libri, magari fa un giro più lungo, in questo lei mi ricorda Conrad, nei suoi dissidenti c’è sempre stato un amore tenebroso, nero....
«L’amore nei libri ha lo stesso ruolo che può avere Dio: anche se si può avere dubbi sulla sua esistenza e anche se Cristo si sbagliasse è sempre preferibile stare con Cristo. È tanto tempo che non parlo di Schopenhauer, magari ne approfitto adesso».
Prego.
«Intanto c’è un suo passaggio che trovo magnifico in cui dice che l’amore esiste, diversamente che per tanti altri filosofi, e in cui prende in giro Kant dicendo che su questo argomento non capisce nulla. Schopenhauer dice anche che l’amore è di origine sessuale e che la sessualità è importante perché serve per avere figli e che la domanda “chi mi succederà” è più importante di tutto il resto».
Nei suoi libri l’amore è sessuale?
«Questa è una cosa strana. Si dice che c’è tanto sesso nei miei libri, ma è qualcosa che faccio fatica a capire»
Forse perché la sessualità nella sua letteratura è trattata come le relazioni umane e quelle di lavoro. Ciò che noi chiamiamo eros per lei è chimica, biologia, particelle è sociologia».
«Le Particelle è un libro scientifico, in altri libri l’approccio è più sociologico, culturale, e questo irrita molti perché la gente non vuole essere ridotta a una categoria sociologica, preferisce essere ricondotta a qualcosa di chimico. Ma sarebbe un errore».
È vero che lei scrive a notte fonda?
«Sì, perché di notte il nostro spirito è libero. E poi bisogna approfittare dei sogni che si ricordano e scrivere prima di cominciare a parlare».
Ci spieghi le sue tre cattedrali: supermercati, automobili e l’aeroporto Charles De Gaulle.
«Il supermercato è quanto di più vicino al paradiso abbia costruito l’uomo. Dell’automobile è affascinante il linguaggio. Io amo le auto, Mercedes e Bmw. E l’aeroporto è il simbolo del concentrazionismo. Lì si vende di tutto, ma non c’è nulla che serve».
Quanto l’appassiona la politica?
«Della politica mi interessano le strategie, le alleanze, il non detto, i giochi di guerra. Ma nel retroscena nelle trame politiche i maestri siete voi italiani, con Machiavelli».
Però nella politica contemporanea sono i francesi ad avere prodotto le più grandi sorprese…
«Le elezioni del 2017 sono state più affascinanti di qualsiasi trama di film».
E stavolta chi vincerà?
«Al secondo turno vincerà Macron e si batterà contro il candidato della destra e non è detto che sarà Le Pen o Zemmour».
Lei scrive: io mi sento irresponsabile, sempre.
«Irresponsabile nel senso che non mi sento un guru e non cerco discepoli».
Alla fine, suo malgrado, lei è una star della letteratura mondiale. Come ci si sente?
«Non male. Diciamo che è una condizione positiva, necessaria, ma non difficile». Standing ovation. —