Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2021
Atlante dell’italia nel 2786
Le isole euganee, la laguna di Firenze, l’isola Vesuvia: sono alcuni dei luoghi, non del tutto immaginari, collocati sulla mappa di un’Italia del ventottesimo secolo. La geografia territoriale e umana della penisola è stata messa a soqquadro dallo scioglimento delle calotte glaciali e dall’innalzamento del livello del Mediterraneo. Molte città costiere sono sommerse o ridotte ad arcipelaghi; altri antichi capoluoghi, come Firenze e Bologna, sono stati elevati su palafitte. Potrebbe sembrare il soggetto di una fiction distopica, ma non lo è, se non in parte; a disegnare lo scenario, paradossale ma non fantastico, appena descritto non sono stati infatti uno scrittore o un regista di storie postapocalittiche, ma due studiosi dell’Università di Padova, esperti delle relazioni tra uomo e ambiente: Telmo Pievani, docente di Filosofia delle scienze biologiche (autore, tra gli altri, di saggi quali Homo sapiens e altre catastrofi, 2018, e La Terra dopo di noi, 2019); e Mauro Varotto, docente di Geografia (il suo libro più recente è Montagne di mezzo, 2020).
Pievani e Varotto hanno appena pubblicato per le edizioni Aboca un nuovo volume scritto a quattro mani: Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro. Il libro, corredato dalle mappe di Francesco Ferrarese, è un’opera ibrida: in parte una narrazione (ispirata ai racconti di viaggio del Settecento più che ai romanzi catastrofici contemporanei), in parte un saggio, in parte un atlante, che presenta la cartina di un Belpaese semisommerso, quadrante per quadrante (dieci in tutto, dalla Venetia alla Trinacria; l’ispirazione viene dalla mappa realizzata nel 1940 dal geografo Bruno Castiglioni per il Touring Club, oggi conservata a Padova).
Protagonista dello scenario narrativo allestito da Pievani e Varotto è il personaggio di Milordo, che nel 2786 compie un peculiare Grand Tour, spostandosi in battello da Venezia alla Sicilia, mille anni dopo l’inizio dell’Italienische Reise di Goethe.
Inclassificabile e «semiserio» (lo definiscono così gli stessi autori), questo Viaggio nell’Italia dell’Antropocene è molto più che un’opera di brillante divulgazione o un postmoderno esercizio di trasferimento di un’opera e di un genere canonici in un contesto contemporaneo, anzi futuribile. La traccia letteraria e l’ispirazione quasi umoristica forniscono infatti alla materia scientifica quel punto di vista straniante che trasforma un modello predittivo in una forma immaginabile. La previsione eccede forse per pessimismo, dal momento che una «fase di ingressione marina» che raggiunga «i 65 metri di quota sul livello di costa attuale» è giudicata irrealistica, come si ammette nell’Introduzione; tuttavia la (pre)visione di una Pianura Padana allagata, di un profilo della penisola consumato dall’erosione delle coste sembra utile «per riflettere sul fatto che l’assetto ereditato del nostro territorio non è affatto scontato». Come osservano gli autori, cambiamenti altrettanto radicali si sono verificati anche 120.000 anni fa, ma in un arco di tempo assai più lungo di quello che potrebbe separarci dalla prossima catastrofe. D’altra parte, proprio questa consapevolezza – è già accaduto – rende il Viaggio di Pievani e Varotto un’opera rappresentativa di quell’immaginario dell’Antropocene che vede convergere il passato remotissimo della storia profonda e il futuro più o meno lontano.
All’origine di questo straniamento temporale c’è la coscienza che gli effetti che incidono sul clima sono causati da relazioni e dinamiche di lunga durata, perciò non facilmente risolvibili con un benintenzionato cambiamento di rotta. Di qui la necessità di pensare a strategie di adattamento che non si risolvano né in un’estetica della fine del mondo, né in un’ingenua prospettiva di rigenerazione. Il libro di Pievani e Varotto non rinuncia a perorare, nella parte finale, la causa della sostenibilità; ma, attraverso lo sguardo di Milordo, ci invita a guardare con altri occhi, e più allarmati, le nostre città e i nostri orizzonti come fossili del futuro: saranno terra o mare, approdo stabile o residuo disperso? E ora, che cosa sono?