il Giornale, 17 ottobre 2021
Il viaggio verso Giove è un omaggio ai Beatles
Mettetevi comodi. Questa è una storia che durerà dodici anni, quindi non abbiate fretta di arrivare alla fine dell’articolo.
Una storia che approderà nel futuro ma che parte da un remoto passato. Si tratta infatti di una missione spaziale di nome Lucy, come il fossile umano scovato nel 1974 in Etiopia il cui scheletro ha fornito preziose informazioni sull’evoluzione della nostra specie. Allo stesso modo dalla sonda della Nasa e del Southwest Research Institute partita ieri da Cape Canaveral alle 11,34 italiane (le 5,34 locali) con un razzo Atlas-5 ci si aspetta che allarghi decisamente la nostra conoscenza sulla formazione dei pianeti del sistema solare. Lucy infatti, dopo dodici anni di viaggio – il tempo di mezza generazione -, 6,3 miliardi di chilometri percorsi e 981 milioni di dollari spesi dovrebbe raggiungere ed esplorare per la prima volta i cosiddetti asteroidi troiani. Si tratta di bizzarri sassi cosmici che si trovano oltre la fascia principale dei normali asteroidi e che condividono l’orbita con Giove e sono riuniti in due gruppi principali in corrispondenza di due punti di equilibrio (detti lagrangiani) nei quali la forza di gravità di Giove e quella del Sole si equilibrano annullandosi reciprocamente, ciò che li intrappola. Di questi prodigiosi sassoloni, dal diametro che va dai 4 ai 100 chilometri, ne sono stati identificati finora oltre 7mila, molto diversi fra loro per colore (alcuni sono grigiastri, altri rossicci) e per composizione chimica. Lo scopo di Lucy è catturare delle immagini degli asteroidi – considerati per molti versi dei «fossili» della formazione e dell’evoluzione del nostro sistema solare – cercando di non far venire male la foto, visto che la sua velocità al momento dell’incontro andrà dai 5 ai 9 chilometri al secondo (ovvero dai 18mila ai 32mila chilometri all’ora) e analizzare la loro composizione chimica grazie ai sofisticati strumenti che ha a bordo.
Prendete il calendario. Di questi troiani Lucy ne dovrebbe incontrare otto tra l’aprile del 2025 e il marzo 2033, quando avrà compiuto 6,3 miliardi di chilometri. «Ciascuno di essi – spiega Thomas Zurbuchen della Nasa – ci fornirà un frammento di storia del sistema solare, una storia che riguarda noi». Dopo questo tour astrale, la sonda continuerà a viaggiare per qualche centinaio di migliaio di anni. Auguri.
La missione Lucy è piena di suggestioni. Una è prettamente beatlesiana. A bordo della sonda c’è infatti un disco realizzato in diamante sintetico che legittima l’entusiasmo pop di Ringo Starr: «Lucy sta tornando i cielo con i diamanti. A Johnny (John Lennon, ndr) piacerebbe». Non solo: la sonda avrà a bordo un messaggio inciso su una targa installata sulla navicella durante una cerimonia che si è svolta al Lockheed Martin Space di Littleton, in Colorado, lo scorso 9 luglio. Una sorta di capsula del tempo destinata a eventuali altri esseri viventi del sistema solare ma anche all’umanità che verrà, che ricalca un’idea che conobbe molto successo negli anni Settanta. Gli storici dell’astronautica ricordano infatti le targhe trasportate dalle sonde Pioneer 10 nel 1972 e Pioneer 11 nel 1973, destinate a fornire informazioni sul genere umano a eventuali extraterrestri che avessero intercettato le sonde. Si trattava di placche in alluminio anodizzato con oro, materiale destinato a resistere agli oltraggi del tempo e della polvere interstellare, sulle quali erano disegnate le silhouette di un uomo e di una donna nudi e altri simboli grafici. La stessa cosa venne fatta poi nel 1977, quando a bordo delle due sonde Voyager 1 e 2 fu collocato un disco (il Voyager Golden Record) su cui erano stati incisi suoni e filmati: contenuti più elaborati destinati al nostro prossimo galattico.