Il Messaggero, 17 ottobre 2021
La siccità fa volare i prezzi del tartufo
Centomila euro per un singolo Tuber Magnatum Pico non fa scandalo se si tratta di un’asta per beneficenza (come avvenne lo scorso anno ad Alba quando un anonimo imprenditore di Hong Kong sborsò quel prezzo per un esemplare da 910 grammi). Più clamorose, invece, le cifre che i consumatori gourmet rischiano di dover pagare quest’anno per i pregiati tartufi bianchi. La prolungata mancanza di pioggia ha ridotto e ritardato la produzione e il contemporaneo boom di richieste dall’estero stanno provocando aumenti già del 30% rispetto al 2020.
LE PROSPETTIVE FUTUREIn settimana alla Borsa del tartufo di Alba (Piemonte) i prezzi hanno oscillato tra i 2.490 euro al chilo per le piccole pezzature e i 20 grammi ai 5.330 euro sopra i 50 grammi. Ad Acqualagna, la capitale marchigiana del tuber bianco, già l’ultima settimana di settembre il prezzo medio toccava i 4 mila euro. Secondo Coldiretti siamo mediamente ben sopra i valori massimi degli ultimi anni: i 350 euro all’etto nel 2013, i 500 nel 2012 e i 450 del 2017 per le medie dimensioni. Con l’aggravante che nei ristoranti – per la classica grattatina sull’uovo o sui tagliolini sarà probabile superare i 7 mila euro al chilo.
«Le quotazioni potrebbero restare alte», prevede Luigi Dattilo, amministratore delegato di Appennino Food Group, uno dei maggiori competitor del settore, con sede in Emilia e filiale in Florida e Singapore. «Quantitativamente scarso – spiega – è il prodotto nazionale e alta la richiesta. A inizio ottobre è piovuto, ma poi servono 15-20 giorni per la maturazione. A quel punto i prezzi potrebbero scendere, ma già a novembre risalire verso le solite impennate di dicembre». Più ottimista Giuseppe Cristini, presidente dell’Accademia del tartufo nel mondo. «Novembre darà grandi soddisfazioni per quantità e qualità. Nelle Marche si avranno bianchi buoni a buon prezzo». Nello scegliere il tartufo da acquistare, attenzione – ammoniscono gli esperti – a non cadere nella convinzione che un tuber di una zona sia più pregiato di un altro. «Varia ogni anno – spiega Dattilo – in base a pioggia e clima. L’importante è che possieda tre qualità: profumo, consistenza, colore».
PROBLEMI DIFFUSIAl momento, la criticità sul fronte dell’offerta e dei prezzi riguarda, comunque, tutte le regioni a partire dalle aree tradizionali di Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Molise, Calabria. «Erano anni che non ricordavamo una stagione così povera di prodotto», afferma Olga Urbani, titolare dell’umbra Urbani Tartufi. A fare impennare i prezzi, oltre la scarsa produzione, sono proprio le richieste dall’estero (per lo più Cina, Giappone, Dubai e Usa) dove è destinato circa il 70% della raccolta italiana, essendo il nostro Tuber Magnatum Pico, considerato tra i più buoni del mondo. «Alla ristorazione internazionale – sostiene Dino Scanavino, presidente di Cia-Agricoltori Italiani – affidiamo, infatti, con le pepite, il legame tra tartuficoltura e attività agricola italiana». Il settore ha valori di tutto rispetto. Vista la frammentazione della raccolta, è impossibile dare un dato preciso: Cia-Agricoltori Italiani, però, indica in 500 milioni di euro il giro d’affari annuale.