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 2021  ottobre 17 Domenica calendario

Memorie semiserie di Carlo Verdone

Ne stiamo uscendo perché la maggior parte della popolazione è stata disciplinata, ha fatto quello che doveva fare»: parte l’applauso per Carlo Verdone, e sentirne il fragore fa impressione all’Auditorium del Lingotto di Torino, in una sala piena, un’aria di quasi normalità filtrata dalle mascherine. Sul palco al Salone del Libro il direttore de La Stampa Massimo Giannini scherza con il regista sulla sua ben nota competenza scientifica: «Medico mancato, impropriamente definito ipocondriaco» lo stuzzica Giannini chiacchierando con lui. Che si schermisce, ma è vero che Verdone ne sa parecchio, si capisce anche in alcuni episodi del suo libro La Carezza della Memoria (Bompiani), i ricordi di una vita ripercorsi con ironia e malinconia, «perché non vorrei passare per l’attore comico che deve per forza scrivere un libro che fa ridere, volevo offrire al pubblico un’immagine vera».
Infatti il libro è una scatola della memoria che fa pensare e a volte commuove: come ti è venuta l’idea di scriverlo?
«Nasce dalla mia immobilità a casa, avevo un grosso problema alle anche, quasi non camminavo più, fino a quando ho deciso di farmi operare. Poi, il giorno prima del lockdown ero al telefono con Paolo Sorrentino. Eravamo preoccupati, lui mi ha detto: "Dobbiamo fare in modo che questo periodo non sia perso, ma guadagnato. Dobbiamo metterci a scrivere, anticipare i progetti, perché prima o poi finirà, no?". Questo mi ha dato la carica. Il giorno dopo prendo tra le mani un vecchio scatolone, ma sento un dolore spaventoso alle gambe e mi cade: per terra si sono sparsi centinaia di oggetti e fotografie. Ognuno era una storia, un ricordo. Ho cominciato a scrivere».
Le prime pagine descrivono una notte romana densa e silenziosa, che già lasciava intuire il buio in cui stavamo entrando con il Covid. Possiamo dire che grazie a vaccini e Green Pass ne stiamo uscendo?
«Sì, perché la maggior parte della gente è stata disciplinata. Io ho provato a parlare con chi non è d’accordo: ma è complicato avere uno scambio dialettico, hanno idee radicate».
Sembrava che venerdì l’Italia dovesse paralizzarsi, invece chi dice no si è dimostrata una minoranza che non ci condiziona. Sbaglio?
«Il nostro Paese a volte è un po’ cialtrone e caotico. Ma è stato disciplinato. Dove sono stati indisciplinati, soprattutto nell’Europa dell’Est, hanno le terapie intensive ancora piene. Sbaglia chi dice che il vaccino è stato fatto di corsa: gli scienziati erano molto avanti perché stavano studiando il Sars Cov 1, erano già al 65% nella soluzione del problema. Poi, chiaro che qualche evento avverso arriva, ma succede anche con gli antinfiammatori, pure con il viagra».
Medico mancato un po’ lo sei. Penso alla storia del treno.
«Tornavo da Verona con il mio amico e critico Mario Sesti. Parte un annuncio: "Per favore un medico con urgenza alla carrozza 4". Dopo cinque minuti: "Ripetiamo, un medico alla carrozza 4 con urgenza". Mario mi dice: "Vacce te, Carlo". Vado e trovo un capotreno steso nel corridoio, iperventilato, sudato, bianco come un lenzuolo. Uno all’infarto ci pensa. Allora dico "scusate, per cortesia, fate passare…". Gli dico di descrivermi i sintomi: nessuno, tranne il senso di oppressione al petto. Penso a un attacco di panico e gli chiedo: ma che problemi c’ha lei? È cominciato un film: tradimento della moglie, andata via di casa, con il suo migliore amico. Alla fine gli do una pastiglia di Serpax, dopo mezz’ora si sente meglio e lo dice a tutto il treno e mi vengono a bussare tutti i passeggeri: "Posso sapere che pasticca ha dato al capotreno?". Sui treni ci ho passato tanto tempo: sono una miniera per me che sono uno che osserva le persone, i tic e le manie. E poi diventano personaggi.
Diventano Furio.
«Infatti Furio non è mica tanto inventato: era il corteggiatore della mia migliore amica».
Bianco, Rosso e Verdone ha compiuto 40 anni: tra i personaggi più esilaranti che attraversavano l’Italia per andare a votare c’era Pasquale, l’emigrato che parte da Monaco e torna a Matera. Oggi si vota, cosa farebbe Pasquale?
«Oggi non si rifarebbe quel viaggio, resterebbe a Monaco».
Uno dei capitoli più commoventi è invece quello sulla signora Stella.
«Una donna in un bar mi dice che la sorella vorrebbe inconrarmi. Era una malata terminale. Mi dice "grazie, perché i suoi film mi hanno fatto compagnia durante la terapia del dolore. Lei è un ottimo ansiolitico". Ho capito quanto la professione di regista attore è importante. E che anche facendo ridere bisogna lavorare con serietà: abbiamo un grandissimo potere».