La Stampa, 17 ottobre 2021
I numeri sui poveri in Italia
Italiani, stranieri, under35, precari, donne con figli: se il 2020 è stato l’anno della pandemia, il 2021 è quello in cui l’Italia fa i conti con la povertà che essa ha lasciato, senza risparmiare nessuno. Quasi due milioni le persone che nei dodici mesi scorsi si sono rivolte ai 6.780 servizi della Caritas Italiana e dislocati nelle 193 diocesi sparse in tutta Italia: il 44 per cento di queste è considerato un «nuovo povero», cioè una persona che prima della pandemia non aveva problemi a pagare le bollette e metteva in tavola tre pasti al giorno. Il Covid ha stravolto le vite di tutti, ma le loro di più, e a tutte le latitudini. Regioni come la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige hanno registrato i dati peggiori tra i nuovi poveri. Che sono soprattutto italiani (46,6 per cento), in quattro casi su dieci disoccupati ma c’è anche una quota consistente di lavoratori (25,8) e di pensionati (18,5). La maggior parte vive in affitto (41 per cento) e solo uno su dieci ha una casa di proprietà. E ancora: l’81 per cento è andato alla Caritas perché con la pandemia si è riscoperto in «fragilità economica», che nel 65,4 per cento dei casi si traduce in «reddito insufficiente» e, in più di un caso su cinque, in «assenza di reddito».
Ma a essere colpite di più sono state le donne. Come Elisa, mamma di due bambini, originaria di Pozzuoli che riusciva a barcamenarsi finché non ha deciso di separarsi dal marito violento. «Le donne sono il 51 per cento dei nuovi poveri. Di queste il 75 per cento ha almeno un figlio e oltre un terzo è disoccupata», spiega la sociologa Federica De Lauso, curatrice con Walter Nanni del rapporto «Oltre l’ostacolo». Proprio la genitorialità, che riguarda 91 mila persone delle oltre 211 mila del campione, è uno dei fattori che contribuisce all’impoverimento: «Avere figli può essere un elemento di criticità, soprattutto se si è in una condizione di mono-genitorialità o non si è dotati di un’adeguata rete familiare di sostegno», chiarisce De Lauso. E sottolinea non solo il rischio che «i figli non riescano ad avere adeguate educazione e formazione» ma anche che «la povertà si tramandi poi dai genitori ai figli».
Un nuovo povero su cinque, poi, percepisce il reddito di cittadinanza. «È stata una fortuna che questa misura ci fosse», commenta monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente della Caritas Italiana. «Tuttavia – spiega – si è rivelata non sufficiente. Innanzitutto perché i fruitori cui si rivolge sono ancora pochi, basti pensare che serve la cittadinanza da dieci anni e quindi una larga fetta di stranieri ne è tagliata fuori». Tanto che la percentuale di beneficiari andati alla Caritas è, tra gli stranieri, del 9,9 mentre tra gli italiani supera il 30. «Riteniamo che la platea debba essere allargata e che il reddito di cittadinanza venga riformulato come reddito di sussistenza, misura che esiste in tutti i Paesi europei, così da migliorare il criterio di proporzionalità, che oggi crea degli squilibri tra chi ha figli e chi no», chiarisce Redaelli. Drammatica anche la situazione dei giovani dai 18 ai 34 anni: se il valore medio dei nuovi poveri è del 44 per cento, in questa fascia di età si raggiunge il 57,7. Ragazzi e ragazze in cerca della prima occupazione (48,3 per cento) o, se occupati (23,3), che si sono ritrovati a affrontare un lavoro precario svanito con la pandemia. E il 2021? «Nei primi 8 mesi ci sono stati segnali incoraggianti ma c’è ancora un 37 per cento di nuovi poveri. E sale la quota dei “cronici”, cioè coloro che da tempo usufruiscono dei servizi Caritas», conclude Redaelli.