Corriere della Sera, 17 ottobre 2021
Il caso del busto di Marconi imbrattato al Pincio
Passeggiando per villa Borghese, per i viali del Pincio, fino a un mese fa c’erano 228 busti ad osservarci, muti, silenti, gli occhi fissi. A un certo punto se ne è aggiunto uno; così, voilà, di colpo, senza nemmeno un’onda radio ad annunciarlo, ecco spuntare Guglielmo Marconi. Comunque, un busto in più o in meno sai la differenza.
Improvvisamente però se ne sono accorti tutti. Giornali, siti, televisioni, tutti spinti a documentare lo sfregio: il busto di Marconi imbrattato di vernice. Un’azione rivendicata dal gruppo «Creare è distruggere» (attenzione all’ossimoro...) per la presunta adesione al partito fascista dell’inventore della telegrafia senza fili. C’era pure il video con tutte le fasi del blitz messo in atto da un uomo in bicicletta, che ha concluso l’opera lasciando un biglietto: «Tutte le lotte sono la stessa lotta», altra frase a effetto che vuol dire tutto, ma soprattutto niente. A seguire dichiarazioni politiche, da destra e da sinistra, si parla di libertà e di cancel culture. Dibattito social, quello che dura un giorno per poi passare ad altro. Tutto vero, ma anche tutto finto. Perché nessuno aveva fatto caso a due piccoli grandi dettagli: non solo quel busto prima non c’era, ma il volto scolpito non era nemmeno quello di Marconi.
Quella statua infatti era stata creata apposta per un’azione dimostrativa, in puro stile situazionista, alla Banksy (ma vengono anche in mente le false teste di Modigliani scolpite con il trapano da tre ragazzi di Livorno nel 1984) con lo scopo di far riflettere su due pilastri della nuova società dell’informazione: le fake news e le verità alternative. L’era dei social è così: si piglia per buono il primo link e poi tutti dietro come un gregge che non si pone domande. L’azione – lo rivela lui stesso ora – infatti è stata ideata dall’artista che si firma con lo pseudonimo di Karlo Mangiafesta: «Mi interessava vedere cosa sarebbe successo se avessi inscenato una notizia totalmente falsa. Qualcuno si sarebbe accorto della bugia o l’efferatezza della vicenda sarebbe stata sufficiente, per chi è a caccia di interazioni e visualizzazioni, a renderla reale? C’è da chiedersi: se dei giornali ne scrivono, e la gente inizia a parlarne, cosa rende quella notizia meno vera di una successa veramente?».
La sua è una riflessione sul potere della comunicazione: «Possiamo proiettare un’immagine (di noi) e renderla reale, effettiva; è il meccanismo con cui evolviamo e sul web quello con cui guadagniamo follower. Generare interazioni è un diktat per tutti e un’occasione come questa per ergersi sul pulpito è troppo ghiotta per guadagnare impressions: politici hanno condiviso il video aggiungendo una colonna sonora con più pathos, giornalisti hanno colto l’occasione per celebrare e difendere l’inventore». Ad aggiungere verità alla menzogna adesso c’è pure Wikipedia – la Bibbia del sapere contemporaneo – che è stata «corretta» e ora riporta tra i busti anche quello di Marconi.
Che artista si sente Karlo Mangiafesta? «Declinare il fake come specifico artistico è un’ipotesi che mi diverte tracciare, è un’opportunità stimolante e inquietante al tempo stesso, perché il confine tra voler emozionare e voler manipolare può essere sottilissimo (un narciso come me lo sa bene). Ora è un mese che la statua con il mio volto è al Pincio: questo fa di me un illustre personaggio della storia italiana?». Più o meno lo diceva anche Cartesio: «Appaio dunque sono».