Corriere della Sera, 16 ottobre 2021
Scalfari raccontato dalle figlie
L a lettera è indirizzata a Italo: «Mi sono preso una semicotta per una certa Nadia, fidanzata con Federico. Essa è già mia e rinsaldo il possesso nelle migliori gallerie dei più malfamati cinema della capitale. Non sono riuscito a sganciarla totalmente da Federico, ma è già moltissimo farlo cornuto a quel bravuomo». Italo è Calvino, il compagno di scuola. E il Federico «cornuto» è davvero Fellini.
C’è anche una fidanzata contesa al più grande regista italiano, nella storia di Eugenio Scalfari, raccontata dalle figlie Enrica e Donata con Anna Migotto nel bellissimo docufilm – «Scalfari. A sentimental journey» – che sarà presentato alla Festa del Cinema di Roma, prima di essere trasmesso da RaiTre.
La scena si apre con il giornalista oggi, a 97 anni compiuti, che suona il piano, ripreso di spalle, in testa un panama bianco. Ma subito ci si sposta indietro di decenni, quando Scalfari, giovane padre, tiene in braccio le figlie appena nate. Le fotografie più antiche sono opera della loro madre, Simonetta De Benedetti, figlia del leggendario direttore della Stampa (che a un tratto compare nel film, con il «ciuffettino» cui doveva il suo soprannome); quelle più recenti sono di Enrica, che ha ereditato il mestiere della mamma (mentre Donata è giornalista come il padre). Alcune sono immagini che potrebbero appartenere a qualsiasi famiglia: in piazza San Marco con i piccioni, al mare, davanti alla torre di Pisa. Ma poi ci sono le foto con Pertini e Montanelli, con Agnelli e Berlinguer, con Gassman e Mastroianni, con Ciampi e Cossiga (nome che Donata scriveva sui muri con la K), oltre a quella storica con Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Arrigo Benedetti.
A 97 anni
«Mi sento come una statuina di porcellana
Resto innamorato del mio prossimo»
Il film è il racconto di formazione non solo di un giornale e di una comunità, ma di uno stile e di una corrente politico-culturale che da sparuta si fa di massa, sia pure quasi sempre minoritaria e quindi all’opposizione. «Quello che Eugenio ha creato oggi non c’è più» commenta con amarezza Natalia Aspesi, una dei testimoni intervistati dalle autrici: Ezio Mauro, Walter Veltroni, Bernardo Valli, Fabrizio Barca, Lucia Annunziata, monsignor Paglia, Paolo Sorrentino – «a tavola non ti chiedeva solo chi sarebbe stato il prossimo leader della sinistra; ti faceva capire che lo si poteva far diventare davvero il prossimo leader della sinistra» —, Roberto Benigni (ispiratissimo: «Scalfari è un narcisone ma è anche umile, andare da lui è come cenare con Kant, puoi parlare dell’illuminismo e del basilico...»).
Si parte dalle origini: il padre, medaglia di bronzo della Grande Guerra, legionario di D’Annunzio a Fiume, pokerista, direttore di casinò; la madre, delicata, spesso in lacrime: «I miei erano uniti dall’amore per me, e io avrei vissuto la loro separazione come una catastrofe». L’incapacità di accettare gli abbandoni sarà all’origine – nell’analisi di Massimo Recalcati, anche lui tra gli intervistati – della scelta di non separarsi dalla moglie, pur cominciando una storia con un’altra donna, Serena. «Un triangolo in cui però io non ero il vertice» sostiene Scalfari. Una situazione che ha fatto soffrire tutti, comprese le figlie, e che sarà sciolta solo dalla morte di Simonetta e dal matrimonio con Serena. Ma, come dice la Aspesi, «non si può vivere con un uomo come Eugenio Scalfari e perderlo per gelosia».
Visto da Benigni
«È un narcisone ma è anche umile, andare da lui è come cenare con Kant»
«Un maschio vuole un figlio maschio» racconta il protagonista. «E un fratello in effetti l’abbiamo avuto: il giornale, Repubblica» sorridono Enrica e Donata. Una creatura attesa da sempre, preparata per anni insieme con Carlo Caracciolo – il «principe biondo» per le figlie —, venuta al mondo nel gennaio 1976, difesa dalle mire di Silvio Berlusconi – «ci attaccò e ci ridusse a pezzi» —, venduta a Carlo De Benedetti, abbandonata «perché è meglio andare via un minuto prima che ti caccino», ma rimasta sempre un po’ casa sua. Fino a quando, a novant’anni, ha portato a casa un’intervista al Papa, di cui è diventato amico. Ora Scalfari si sente «fragile come una statuina di porcellana», consapevole di non poter «far pace con la morte», ma sempre «curioso della vita e innamorato del mio prossimo: signore, donne, ragazze, ma anche uomini, situazioni, società».
L’opera non è una celebrazione. Ci sono cose che soltanto le figlie oserebbero dire del protagonista. C’è lo sguardo dissacrante anche se pieno d’amore dell’unico nipote, Simone, che a un certo punto dice: «Nonno, io vorrei fare il procuratore sportivo». Quando Scalfari proclama «oltre a un giornalista e a uno scrittore sono anche un poeta», le figlie esplodono in una risata. Ma proprio con una poesia si conclude il film. Versi intitolati non a caso «Sentimental journey», viaggio sentimentale: «Quando suona Mister Jazz/ allegria e malinconia vivono insieme/ e ad ogni nota di tromba/ il passato ritorna/ e lo vedi esaltare/ bevendo ballando cantando/ alla conquista/ d’amore e fantasia».