Corriere della Sera, 16 ottobre 2021
Intervista a Stella Moris, la compagna di Navalny
L’ultima volta che ho incontrato Julian Assange è stato a Londra nell’ambasciata dove era rinchiuso, nel 2013; l’avevo trovato pieno di energie. Parlammo a lungo, parlammo dell’unica cosa di cui valeva la pena parlare ossia della luce.
Di come accendere la luce sui meccanismi del potere sia da sempre l’unica possibilità che ci è data per controllarlo quel potere. Strappare i meccanismi dal cono d’ombra, per spingerli sotto i riflettori così che tutti possano comprendere. È sempre stato questo il compito dei cercatori di libertà, dei filosofi d’ingaggio, dei dissidenti, dei ribelli, dei cronisti liberi. Raccontare il potere perché diffidano di qualsiasi potere. «Sei davvero contento della scelta che hai fatto?», gli chiesi in quell’occasione, nell’ambasciata dell’Ecuador. Assange non mi rispose come mi aspettavo, con un imperativo sì. Articolò una risposta più rara: «Bisogna essere felici di avere vite straordinarie». Oggi è in carcere, e parlo di lui con la sua compagna Stella Moris, che sarà in Italia al Salone del Libro di Torino in occasione dell’uscita del libro di Stefania Maurizi, Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks.
Come sta Julian Assange?
«È nel carcere più duro del Regno Unito: la prigione di Belmarsh. Il suo caso è particolarmente pericoloso, perché è la trasformazione in caso giudiziario di un conflitto politico, ma è rinviato a giudizio per avere pubblicato documenti e aver comunicato con fonti giornalistiche. Julian è stato incriminato per aver ricevuto e pubblicato dal suolo europeo documenti segreti che il governo degli Stati Uniti non vuole vedere pubblicati. Se riconosciuto colpevole, rischia 175 anni di prigione. I documenti hanno permesso di rivelare, tra le altre cose, l’uccisione di due giornalisti della Reuters e di altri civili innocenti a Baghdad, la detenzione illegale dei detenuti di Guantanamo, le carneficine causate dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, e documenti come i cablo della diplomazia americana. Questi documenti hanno un grande valore dal punto di vista politico, storico e legale e contengono, per esempio, prove di crimini di guerra. Gli Stati Uniti hanno ammesso sotto giuramento di non avere prove che una qualsiasi persona sia stata danneggiata da queste pubblicazioni».
Perché Julian è in prigione oggi?
«Perché le nazioni (implicate nel suo caso, ndr) hanno tradito i loro valori fondanti. WikiLeaks ha preso quei valori e li ha messi in pratica, testandoli. Nils Melzer ha detto che il suo caso è, per molti versi, più grande dell’affaire Dreyfus. La persecuzione di Julian è anche la persecuzione di ciò che rappresenta la democrazia nella sua forma più autentica».
Cosa dovrebbe accadere perché possa tornare libero?
«Il Paese che sta cercando di estradarlo (gli Stati Uniti, ndr) ha pianificato di ucciderlo in modo stragiudiziale. La chiave per arrivare alla liberazione di Julian è piuttosto semplice: le leggi che esistono dovrebbero essere rispettate, invece che sovvertite. Seconda cosa: il governo americano dovrebbe difendere la libertà di stampa a livello globale, invece che approvare la persecuzione e l’incarcerazione di giornalisti, dissidenti e intellettuali pubblici. Ma non basta liberare Julian. Bisogna incriminare i responsabili delle azioni illegali della Cia contro Julian, contro lo staff di WikiLeaks e lo staff legale, condotte anche sul suolo europeo. Deve essere aperta un’inchiesta per andare a fondo della questione di quanto il tentativo di ammazzare Julian si è spinto lontano».
Yahoo! News a settembre ha pubblicato un’articolata inchiesta in cui rivela che nel 2017 la Cia, sfruttando gli uomini di una società che lavorava per la sicurezza dell’ambasciata dell’Ecuador, voleva rapire o assassinare Assange che, a quel tempo, viveva protetto come rifugiato proprio dentro l’ambasciata. Quali informazioni avete?
«Dopo che Julian è stato arrestato nel 2019, alcuni informatori si sono fatti avanti per denunciare come l’azienda di security (la Uc Global), che doveva proteggere l’ambasciata e Julian, aveva ricevuto pagamenti dal principale finanziatore di Trump e di Pompeo, Sheldon Adelson (ormai scomparso) e che faceva quello che diceva la Cia, all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador. Le testimonianze davanti alla Corte hanno rivelato che la Uc Global aveva discusso dei piani per avvelenare o rapire Julian. Questa grande inchiesta di un team di giornalisti, che hanno parlato con ex o attuali funzionari dell’intelligence americana, è riuscita a confermare che la Cia stava davvero cercando di ammazzarlo nell’ambasciata. Hanno confermato che Mike Pompeo, che a quel tempo era il capo della Cia, aveva dato istruzioni alla sua agenzia di preparare “piani” o “opzioni” su come ucciderlo a Londra. Abbiamo conferme da entrambe le sponde dell’Atlantico, è stato un grande scoop».
In questi anni Assange è sembrato vicino a Putin, poi ai governi populisti. Da un iniziale consenso che le sinistre (compresi i giornali) gli avevano dato, ora (salvo eccezioni) sembra non avere più sostegno dalle stesse parti. Dove ha sbagliato secondo te?
La battaglia
La persecuzione di Julian è anche la persecuzione della democrazia nella sua forma più autentica
«Non ritengo corretto dire che WikiLeaks piacesse solo a certi gruppi o a persone con un certo credo politico. Piace a diversi gruppi per ragioni diverse. È più interessante riflettere su chi non ama WikiLeaks e perché. La risposta è, in parte, contenuta nelle rivelazioni di Yahoo! News. Per farla franca con l’assassinio di qualcuno, devi prima uccidere la sua figura pubblica. L’inchiesta rivela un attacco su più fronti messo in atto dalla Cia per «tirar giù» WikiLeaks, e una parte importante di questo attacco era la disinformazione. Inoltre, nei primi mesi del 2017, la Cia aveva concluso che WikiLeaks non aveva legami con la Russia».
Lei ha seguito dal punto di vista legale il caso svedese delle accuse per stupro: che idea si è fatta?
«È stato un vergognoso abuso del procedimento giudiziario. Julian non è mai stato rinviato giudizio, e i magistrati svedesi alla fine hanno chiuso il procedimento una volta che era servito allo scopo: attaccare la sua reputazione, negargli la possibilità di difendersi, mantenerlo privato della sua libertà per anni fino a quando gli Stati Uniti hanno desecretato il loro atto di incriminazione».
Cosa dovrebbe fare l’Europa?
«L’Europa è parte in causa sia come beneficiaria delle pubblicazioni di Julian sia come giurisdizione che ha l’obbligo di proteggere i diritti civili e politici di tutti gli individui. L’Europa ha beneficiato delle pubblicazioni di WikiLeaks, che hanno rivelato lo spionaggio dei leader europei e quello economico contro la Banca centrale europea, la penetrazione dei partiti politici da parte della Cia e il sovvertimento dei procedimenti giudiziari in Germania, Spagna, Olanda, Danimarca, Svezia. WikiLeaks ha rivelato anche le intercettazioni del primo ministro italiano e dei suoi consiglieri. La Germania si è fatta sentire in modo forte con politici di varia estrazione che hanno formato un gruppo parlamentare che chiede la liberazione di Julian, come è successo in Inghilterra e in Francia. Ci sono iniziative al Consiglio d’Europa per chiederne la liberazione. C’è un forte supporto all’interno del Parlamento europeo, ma nell’insieme l’Ue potrebbe fare di meglio, specialmente considerando che è una parte interessata e che il caso contro Julian è un attacco alla libertà di stampa e, più in generale, alla sovranità dell’Europa».
Perché Assange fa ancora paura?
«Alcune persone corrotte e potenti ce l’hanno con lui perché rappresenta ciò che loro temono della stampa. I potenti amano pensare di poter controllare la stampa. Julian ha sempre detto che quello che viene fatto a lui non riguarda davvero la sua persona, ma mira piuttosto a creare dei precedenti che servano a produrre una stampa servile e un’opinione pubblica ignorante e senza potere».
Quanti anni è rimasto rinchiuso in ambasciata? Quanti in prigione?
«Si trova incarcerato nella prigione di Belmarsh da oltre due anni e mezzo. È stato confinato nell’ambasciata da giugno 2012 fino all’11 aprile 2019, ma la gente dimentica che aveva perso la libertà prima: il 7 dicembre 2010, quando era stato arrestato. Dopo dieci giorni, fu mandato ai domiciliari, sotto strette restrizioni, per un anno e mezzo, prima che si rifugiasse nell’ ambasciata».
Cosa potrebbe accadere ad Assange se dovesse venire estradato?
«Gli Stati Uniti vogliono seppellirlo vivo per il resto della sua vita, e non permettergli di parlare più o di essere visto in pubblico. La Corte britannica ha già sentenziato (in primo grado, ndr) che la situazione è così seria che l’estradizione porterebbe alla sua morte».