la Repubblica, 16 ottobre 2021
L’educazione sentimentale di Giorgia la Calimera
ROMA — «In Fratelli d’Italia non c’è spazio per i nostalgici del fascismo». Questa frase di Giorgia Meloni, pronunciata più volte nei giorni scorsi, è parsa a qualcuno una svolta. Chi conosce bene la formazione politica della leader di FdI sa invece che Meloni avrebbe potuto pronunciarla identica anche 30 anni fa, perché nella comunità politica che l’ha accolta e svezzata quando quindicenne si presentò all’uscio della sezione del Movimento sociale italiano di via Guendalina Borghese, nel quartiere romano e politicamente ostile della Garbatella, la lotta al nostalgismo missino, al fascismo parruccone dei busti di Mussolini e di quando c’era Lui, era già la cifra ideologica del gruppo.La comunità era nota con il nome I Gabbiani, omaggio al culto del romanzo I l gabbiano Jonathan Livingston. Garbatella ne era la sezione di riferimento e nella sede di Collo Oppio, all’interno dei ruderi romani, c’era la sua chiesa pagana. L’animatore era l’architetto ed ex nuotatore professionista Fabio Rampelli, il Capo, oggi parlamentare di FdI e vicepresidente della Camera dei deputati. La scomunica dei nostalgici e dei dirigenti in doppiopetto non significava certo che i Gabbiani ripudiassero il fascismo. Tutt’altro. Rifiutavano la tensione reazionaria alla sua riproposizione. Il fascismo, per loro, era un patrimonio emotivo, un album di famiglia, la ragione irrazionale ma consapevole, e genetica, del loro impegno politico. Quando Meloni scrive nella sua autobiografia di successo, Io sono Giorgia, che non è antifascista, quando del regime dice solo “non ho alcuna paura di ribadire per l’ennesima volta che non ho il culto del fascismo”, quando non riesce a pronunciare una condanna chiara del fascismo pur non essendo fascista, è a quella educazione sentimentale che è ancorata. Non un passo avanti, non un passo indietro.I Gabbiani erano una comunità nel senso pieno del termine. Avevano una concezione della militanza totalizzante che investiva ogni aspetto della vita, pubblica e privata. Per questo una delle figure di riferimento era Corneliu Zelea Codreanu, il leader nazionalista (e antisemita) delle Guardie ferro rumene negli anni Trenta, con la sua visione spirituale dell’impegno politico. I Gabbiani avevano anche il vezzo del “superamento” ideologico, cioè l’idea di portare i camerati fuori dal ghetto della destra neofascista contaminandosi, aprendosi al sociale, a riferimenti culturali estranei alla tradizione. Dal rautismo avevano mutuato la lezione dei Campi Hobbit e la mitologia ispirata a J.R.R. Tolkien, l’autore del Signore degli anelli. Uno dei primi riti che la giovanissima Meloni scoprì fu il tolkeniano “richiamo del corno”, cioè la convocazione settimanale della comunità per la lettura di brani nella sezione di Colle Oppio. Seduti in circolo, le mani dietro la schiena, non declamavano solo autori di area, come il teorico della nouvelle droite Alain de Benoist o lo scrittore francese e collaborazionista Pierre Drieu La Rochelle, ma anche brani di Antoine de Saint-Exupéry, testi di Fabrizio De Andrè e Francesco Guccini. Poi la seduta si concludeva con un canto: Il domani appartiene a noi, inno più tradizionalmente neofascista. Destò curiosità e qualche polemica nel partito il manifesto che i Gabbiani affissero per le vie di Roma all’inizio dei Novanta: “Tutti gli uomini di valore sono fratelli”, dove a quella del poeta Ezra Pound si affiancavano le immagini di Gramsci e Che Guevara. Ma anche qui bisogna distinguere, come spesso è necessario nell’arsenale culturale dell’ultradestra, tra suggestione retorica, la vernice dorata sulle proprie idee, e prosaica realtà, quella che emergeva grattando la superficie. I Gabbiani restavano ferocemente anti-antifascisti e ovviamente anticomunisti. Gli scontri, anche fisici, con i ragazzi dei centri sociali della Garbatella, Karl lotta e La strada, erano all’epoca quasi quotidiani.Molti della comunità hanno fatto strada insieme a Meloni. Marco Marsilio detto il Lungo (il battesimo nei Gabbiani prevedeva l’immediato conio di un soprannome), presidente della Regione Abruzzo, Andrea de Priamo detto Peo, veterano del consiglio comunale di Roma. Altri hanno preso strade diverse, come il vicepresidente di Casa-Pound Simone Di Stefano detto Sloth, per via del personaggio mostruoso dei Goonies, la comunità, diciamo così, non apprezzava le sue doti estetiche. Ma Meloni è amica anche di Gianluca Iannone, il vero leader di CasaPound, cui saltò letteralmente in collo per salutarlo davanti agli occhi di un esterrefatto Giorgio Napolitano, che aveva partecipato poco prima a un dibattito tv con loro alla vigilia delle Politiche del 2006 e quindi della sua elezione al Colle.Per uscire dal ghetto nero, i Gabbiani erano infaticabili. Avevano colonizzato Fare fronte, la sezione universitaria del Fronte della gioventù. Lì centrale era la figura di Federico Mollicone detto Mollica, anche lui oggi parlamentare FdI. Esisteva un ramo ecologista, Fare Verde, animato dallo scomparso Paolo Colli detto Poldo, che mischiava richiami all’etologo Konrad Lorenz e all’ecologista di sinistra Alexander Langer. Ma la trasversalità non impediva al gruppo di organizzare il cameratesco rito del “presente”, che prevede anche il saluto romano, per Paolo Di Nella, il ragazzo del Fronte della gioventù ucciso pochi anni prima a Roma e noto per il suo ambientalismo, oltre che per altri neofascisti uccisi negli anni di piombo. Meloni ne ha ricordato il “sacrificio” e rinnovato l’omaggio anche in Io sono Giorgia.Furono fondati anche una rivista satirica, Morbillo, la risposta nera a Cuore, una associazione culturale, Castellum, che per anni organizzò uno degli eventi più partecipati dell’estate romana, All’ombra del Colosseo, e persino una casa editrice, Il bosco e la nave, omaggio al filosofo tedesco Ernst Jünger, altro autore di culto soprattutto per il suo Trattato del ribelle. Perché l’autoritratto della comunità aveva comunque bisogno di alimentarsi del mito della irriducibilità al Sistema, maiuscolo, che era poi – in due parole – il mondo della democrazia liberale. In questa visione gli Usa restavano il nemico numero uno, tanto che i Gabbiani furono in prima fila negli scontri a Nettuno in occasione della visita di Bush senior al cimitero anglo- americano.Quando nel 2017 l’amministrazione Raggi mise per la prima volta i sigilli alla sezione di Colle Oppio, poi sgomberata definitivamente l’anno scorso, al sit-in di protesta c’erano tutti i Gabbiani e qualche nuova leva. Disse Rampelli il Capo: «Canagliata». Mollica tuonò: «Vergogna». Peo sfidò la sindaca: «Non ha altro cui pensare?». Ma la più indignata di tutti era lei, Giorgia Meloni detta Calimera.