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 2021  ottobre 16 Sabato calendario

Intervista a Lilian Thuram. Parla di razzismo

Lilian Thuram entra al Salone di Torino con un libro rosso che si intitola «Il pensiero bianco» e prova a ridare un senso ai colori.
Dovremmo smettere di definirci bianchi o neri?
«Non è necessario eliminare i termini, ma vanno spiegati. L’identità ha una storia, dentro il nostro modo di definirci c’è anche una gerarchia e dal momento in cui lo capiremo le useremo sempre meno. I bambini non le usano affatto».
Nel libro però si chiede come mai alle elementari i compagni bianchi la trattassero già diversamente.
«Sì ma avevo nove anni. Quando ero ancora a Torino e il mio figlio più piccolo Khéphren aveva 4 o 5 anni gli ho chiesto “Sei l’unico nero nella tua classe?”. Ha risposto: “Non sono nero, sono marrone e gli altri sono rosa"».
Oltre i 5 anni che si fa?
«Bisogna conoscere il passato. Le ultime generazioni si definiscono sempre meno per il sesso, chiamarsi uomo o donna non è mai stato un fattore neutro. Ora, dopo 60 anni di lotte e proteste quell’etichetta ha sempre meno significato».
Quanto ci vuole per strappare le etichette bianco e nero?
«Ce ne vuole. Siamo all’inizio della demolizione».
Le hanno dato del razzista perché ha definito un modo di pensare bianco?
«È successo. Normale, anche quando molte donne hanno iniziato a dire che certi film o romanzi hanno una percezione maschile, la maggioranza si è stranita e infastidita. Era uno sguardo nuovo e quindi destabilizzante».
Qualcuno si è offeso per il suo libro?
«Certi politici, quelli che difendono la supremazia bianca e sono tanti, ma non mi interessano loro, mi importa chi non è cosciente della gerarchia del colore. Considerarsi neutro significa rifiutare ogni responsabilità e non mettersi in discussione».
In Italia come in Francia ci sono ondate di populismo.
«In tutte le società ci sono persone che amano la violenza e oggi fanno meno fatica a farsi sentire».
L’aggressività aumenta.
«Veniamo da anni di crisi economica e in politica trovare un nemico è una soluzione. Il razzismo si perpetua nel tempo perché l’ideologia fascista si basa sul fatto che esiste un vincitore: tu sei meglio di lui e hai diritto a stare meglio».
Eric Zemmour, opinionista e giornalista di ultra destra, cresce nei sondaggi per la presidenza francese senza neanche essere ufficialmente candidato.
«Candidato o no lui rivela il razzismo del mio Paese. Fa discorsi violenti e c’è chi lo accetta. Lui fomenta l’odio e glielo lasciano fare perché tanti non sono toccati dai suoi discorsi. Sono bianchi».
È legittimo che Zemmour possa tenere certi discorsi pubblici?
«per i non bianchi no. Noi ci sentiamo minacciati. Quell’uomo invita a umiliare i non bianchi, i miei figli, i miei amici e invece di inorridirsi troppa gente ci fa sopra dell’ironia. In più mi dicono, “ma rappresenta il 10 per cento dei francesi”. Pensiero bianco, i suoi discorsi sono un appello all’odio. Per accettarli bisogna essere bianchi».
In Italia certi appelli all’odio hanno portato i no-vax a sfasciare la sede della Cgil.
«Non sono sorpreso. Il problema sono quelli che legittimano questi appelli dandogli spazio».
La sorprende almeno che ci sia qualcuno più a destra di Le Pen?
«No, ho 49 anni e nulla mi sorprende».
Quanti pensieri bianchi ha incontrato quando viveva in Italia?
«Quando giocavo capitavano cori razzisti e i compagni bianchi mi davano pacche sulle spalle per dirmi che non era grave. Volevano farmi stare meglio ed era uno sbaglio clamoroso. Un pensiero bianco. In Italia, a ogni singolo problema di razzismo sembra che sia la prima volta. Mi fa impazzire quando dite: quelli che fanno buu non sono veri tifosi».
Lo sono?
«Certo: seguono una squadra, vanno allo stadio, si mettono la sciarpa. Sono tifosi. Leviamo di mezzo l’ipocrisia».
Ne parlava con i compagni del Parma e della Juve?
«Di tanto in tanto, ma non c’era troppa voglia di capire».
Che si fa allora negli stadi? Due settimane fa, a Firenze, un gruppetto ha dato delle scimmie ai giocatori neri del Napoli.
«Se vogliamo cambiare le cose la rivolta deve partire dai giocatori bianchi. Le donne hanno protestato per avere il diritto di voto, ma poi la legge chi l’ha riscritta? Gli uomini. Ed è uguale. Non si può chiedere ai giocatori neri che cosa bisogna fare, chiediamolo ai bianchi».
Quando suo figlio Marcus ha iniziato a giocare ad alto livello gli ha fatto il discorso che si vede nei film su come reagire agli insulti?
«Non ho aspettato che i miei figli iniziassero a giocare a calcio. Ho spiegato che cosa era successo quando erano bambini. Mi dicevano: “ma dai papà”. Mi hanno dato ragione».
Consiglierebbe a Marcus di giocare in Italia o c’è troppo razzismo qui?
«Lui vuole una grande squadra e se la trova in serie A non c’è problema».
Il portiere del Milan Maignan ha scritto su Instagram “Perché ci trattate come bestie?”.
«Quando lo scrive un giocatore bianco ne riparliamo».
L’Italia agli Europei ha scelto di inginocchiarsi solo davanti alle squadre che avevano adottato quel gesto.
«Ho vissuto qui, non mi aspettavo nulla di diverso. Vuol dire che la maggioranza di quei giocatori non si preoccupano di chi soffre le conseguenze del razzismo. Però non dicano che scelgono questo comportamento per non fare politica. Il calcio è politica. Non inginocchiarsi è politica».
La Francia non si inginocchia mai.
«E mi dispiace perché conosco il potere del calcio, io cresco con l’esempio di Muhammad Ali. Loro hanno deciso come squadra, non tutti avevano lo stesso pensiero».
Come se ne esce?
«Il razzismo è una trappola bisogna svegliarci: finisce così il mio libro. Invece di confrontarci sul colore della pelle smettiamo di lasciarci condizionare dai pochi che pensano di andare a vivere su un altro pianeta. Pensano: “Esauriamo pure le materie prime poi lasciamo le masse qui e noi super ricchi andiamo su Marte”. La politica li asseconda invece di rispettare persone e natura».
Vedrà Juve-Roma?
«No, non ho visto mai la Juve quest’anno. So che va un po’ meglio adesso, è una grande squadra e si riprenderà. Se si mette in discussione Allegri è il calcio, non la Juve, ad avere dei problemi».
Il Psg con Messi, Neymar, Mbappé è doping finanziario?
«Non è la prima volta che una squadra riunisce il meglio che c’è».
La sua Juve era così?
«Era fortissima. E da giovane ho visto il Milan di Gullit, Van Basten, Rijkaard, Baresi, Maldini. Vincono quasi sempre i più ricchi, per questo il calcio può influenzare la società: è uno specchio». —