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 2021  ottobre 16 Sabato calendario

La partità di genere? Scordiamocela

La parità? Non se ne parla ancora. Anzi, scordiamocela: non l’avremo mai. Passi in avanti, sì certo, e chi li nega. Ma per quanti forzi possano fare, parliamoci chiaro: le donne non hanno le stesse chance di successo degli uomini, almeno non nel business e nei lavori del futuro. Stipendi più o meno simili? Figuriamoci. L’imprenditoria al femminile? Lasciamo perdere, altro che gap, questo somiglia a un baratro.
Sorpresi dalle risposte? Diciamo che in giro non c’è grande fiducia nella possibilità di vedere il mondo finalmente in equilibrio. Pochi segnali di svolta, si tende al pessimismo, almeno a guardare la fotografia scattata dal Gender Equality Barometro G20. Un’indagine su un campione di 9.500 persone che sarà presentata in occasione del Women’s Forum, in programma a Milano il 18 e il 19. «Un lavoro che non era mai stato fatto: abbiamo messo a confronto la percezione e la realtà dell’uguaglianza di genere in vari ambiti, dal business alla salute», spiega Chiara Corazza, la delegata speciale per il G7 e il G20 del Women’s Forum for the Economy and Society.
I RISULTATI
Ecco l’umore negli Stati del foro che riunisce le principali economie del mondo. Nel mio Paese l’uguaglianza non sarà mai raggiunta, risponde il 35% della popolazione(media G20). Percentuale che sale al 48 se si allarga lo sguardo «al panorama globale». Per gli ottimisti comunque ci vorranno comunque almeno 16 anni. Il Giappone vede più nero di ogni altro, per il 57% la parità è irraggiungibile. Anche l’Italia non sorride con il 38% di sfiduciati e primeggia – tra i Paesi del G20 – per la percentuale di quanti (ben sette su dieci) sono convinti che le donne non hanno le stesse possibilità di successo nel business e nei lavori legati alla tecnologia (la media è del 67). La pandemia ha aggravato le diseguaglianze? Sì, è convinto il 55%. I più allarmati sono gli italiani, che toccano quota 78.
Motivi per essere così preoccupati ci sono, eccome. Prendiamo il part-time. Quasi il 20% delle italiane (19,9) è costretto ad accettare un lavoro a tempo parziale, contro il 6,5 degli uomini. E se nella classifica del gap negli stipendi il nostro 5,6% sembra poca roba rispetto al 56 dell’Arabia Saudita, quando si parla di lavoratrici autonome non c’è confronto. L’Italia è il paese più ingiusto con un gap che raggiunge il 44%. Avete letto bene, le imprenditrici e le libere professioniste da noi guadagnano in media quasi la metà dei colleghi maschi. Ben altri numeri in Francia (8,2%) e Germania (25,8). Ecco in parte spiegato tutto quel pessimismo. La buona (buonissima) notizia è che a Montecitorio è stata appena approvata all’unanimità la proposta di legge sulla parità salariale che ora passa al Senato. Il testo prevede modifiche al codice sulle pari opportunità in modo da ridurre il gender pay gap nelle retribuzioni.
LE GARE
Tra le raccomandazioni che il Women’s Forum di Milano avanzerà ai paesi del G20 c’è appunto l’uguaglianza nei guadagni e nell’accesso ai capitali. «Nel mondo abbiamo 242 milioni di donne imprenditrici, piccole grandi e medie. Un numero notevole che però ha accesso a meno dell’1 per cento dei finanziamenti pubblici delle gare di appalto», una vera ingiustizia per Chiara Corazza. «Questo vuol dire, ad esempio, che in Giappone ci sono 180 miliardi di dollari all’anno di appalti pubblici, di questi nemmeno un centesimo va alle donne. Già altri Paesi del G20, come l’Australia, l’Usa e il Canada stanno facendo delle azioni positive in questo senso». E anche l’Italia si muove, l’articolo 47 del decreto Semplificazioni dello scorso maggio ha stabilito che le aziende che partecipano alle gare per le opere del Pnrr e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc) dovranno presentare un rapporto sulle pari opportunità in azienda. Saranno premiate, con il riconoscimento di punteggi aggiuntivi nei bandi di gara, le imprese che vanno in questa direzione.
LA SCOMMESSA
«Il Recovery Plan deve essere una She-Covery, gli investimenti siano a beneficio di tutti e non solo dell’1%. Non vogliamo soldi in più. Chiediamo che le donne abbiano le stesse opportunità, possano fare business, avere salari uguali e possibilità di carriera degli uomini. Non per fare piacere alle donne ma perché la società ne ha bisogno. È necessaria una vera rivoluzione copernicana: nell’assegnazione degli appalti pubblici si tenga conto di come le imprese rispettano la parità salariale e il ruolo delle donne nella governance. Speriamo che l’Italia possa dare l’esempio a tutti i Paesi del G20».
Lo siano anche le grandi imprese, d’esempio, e nella catena di rifornimento scelgano ditte rispettose della diversity. «Nel mondo più le donne attive sono più del 52% ma attive contribuiscono solo al 34% della creazione di ricchezza nel mondo. Questi numeri devono cambiare. Se non coinvolgiamo le donne nel Recovery Plan andiamo al disastro. Insieme agli uomini possiamo contribuire a creare una crescita che sia duratura, inclusiva e che prenda in considerazione tutti».