il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2021
Ritratto di Domenico Starnone
Il passato è per Domenico Starnone sempre il tempo più presente. Le trame dei suoi romanzi sono fili di un’unica matassa multicolore. Casa, relazioni affettivo-familiari, stanze in cui si annidano tradimenti, amore che d’apparente idillio si fa bellicoso inganno, desideri coltivati in giovinezza infranti in età adulta, infanzia spazio vergine, crescita passaggio doloroso, vecchiaia ospite sgradito. E poi c’è la Napoli dei suoi natali nel 1943, casa dei suoi primi 25 anni, fondamentali perché “tutte le mie esperienze primarie si sono compiute dentro Napoli e la sua lingua”, idioma delle emozioni.
Molto di ciò c’è anche nell’ultimo Vita mortale e immortale della bambina di Milano con al centro Mimì, amato dalla nonna materna che lo cresce a colpi di aneddoti e dialetto. Con la narrativa di Starnone si può fare una caccia al tesoro alla ricerca di richiami, dettagli reiterati, analogie. Per esempio in Scherzetto, dove un illustratore settantenne si relaziona per la prima volta col nipote quattrenne, c’è un balcone pericoloso. È ponte metaforico tra dentro e fuori, è affaccio sul vuoto, su rischi e tormenti della vita. Anche in questa nuova opera c’è un balcone, anzi due, uno è di Mimì al terzo piano, l’altro “della milanese”, sua coetanea, al secondo, spazio in cui lei danza leggiadra. “Quant’era bella la sua figurina contro i vetri luccicanti di sole, audace nei saltelli, così esposta alla morte”. Mimì l’osserva tra incanto e angoscia. E se cadesse?
Ecco un altro topos di Starnone, la morte, quella della madre a 44 anni lo ha annientato, fulcro del bellissimo Spavento. I bambini non sanno cos’è la morte, per loro morire “è come quando si gioca ai cowboy, ci si stende per terra e si è morti”, mentre per i vecchi la “sindrome del corpo sfiduciato” narrato in Spavento, cioè del corpo che invia messaggi di cedimento, è memento mori. La consapevolezza della morte, “se sai della morte, non cresci piú” dice nonna Anna a Mimì, coincide con la fine dell’infanzia. Così quando lei muore cessano le “febbri di crescenza” di Mimì e pure il tragico ricordo della “milanese” si spegne.
Come in Via Gemito, Premio Strega, anche in quest’ultimo la figura del padre – quello di Starnone, ferroviere con l’ostinata volontà di esser pittore, era violento e temibile – spaventa, è “un angelo con le penne nere venuto dalla fossa della morte”, mentre Mimì si descrive com’era Starnone da bambino, “ero quasi muto, sempre per i fatti miei, buio dentro e fuori”, timidissimo insomma. Ama anche scrivere, Mimì, “la scrittura mi pareva l’unica cosa che potessi lasciare, alla mia morte, senza un’impressione di spreco” e pure Starnone, per trent’anni insegnante alle superiori, desiderava diventare chi è oggi, scrittore e sceneggiatore, da quand’era ragazzino.
Credeva di non aver stoffa – non come il Michele di Il salto con le aste del 1989, che aveva la presunzione di eguagliare Calvino senza averlo mai letto – e invece si sbagliava. Negli anni 80, collaborando al Manifesto, ideò una rubrica narrativa sul mondo della scuola che poi divenne libro, Ex Cattedra, e film, La scuola, per la regia di Luchetti che ha trasposto anche Lacci. Il Mimì adulto ammette poi di concedersi sempre “il piacere della parola che sul momento pare giusta e poi no e chi se ne fotte del consenso, del vero, del falso, della durata, dell’immortalità” e Starnone sposa quest’idea.
Quando gli si dice che i suoi romanzi hanno il sapore dei classici, risponde che “viviamo tempi in cui tutto invecchia in modo straordinariamente veloce così è già un miracolo se un libro dura quanto la tua vita”. Tutti vogliono sapere quanto di autobiografico c’è tra le pagine e da anni lo si tormenta sull’affair Elena Ferrante. È lui o no? È così importante? Scrivere è in ogni caso sempre raccontare qualcosa che ci riguarda senza darlo troppo a vedere e scavando ancora oltre. Lui lo fa straordinariamente e quei lacci che titolano una delle sue prove più apprezzate – lacci che uniscono, che non si sa sbrogliare o si sciolgono troppo facilmente, che vorremmo spezzare se diventano catene o a cui fare il doppio nodo per non inciampare – sono anche quelli che tengono i lettori legati ai suoi libri. Pur se leggerli mette a nudo.