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 2021  ottobre 16 Sabato calendario

La pastasciutta si mette in mostra

Nacquero come una variante del pane, ma gli antichi non gli conferivano la dignità di un pasto autonomo. Per millenni sono stati concepiti in bianco, col formaggio, la salsa magica è dilagata solo nell’800. Poi si sa come è andata. Oggi rappresentano il nostro marchio identitario più forte, l’ammiraglia della dieta mediterranea, il passepartout globale dell’italian food, in centinaia di formati e migliaia di ricette regionali. E ora una mostra celebra la Storia illustrata degli spaghetti al pomodoro: dove allestirla se non a Forlimpopoli (Forlì-Cesena), nella città, anzi, proprio nella casa natale di Pellegrino Artusi, il sommo gastronomo autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene? A marzo ne è stato celebrato il centenario dalla morte: tra l’altro, il padre dell’arte culinaria nazionale fu il primo a inserire ben dieci ricette “alla meridionale” per condire la pasta. Muovendo da un intruglio alchemico di cipolla, aglio, sedano, basilico, prezzemolo, olio, sale e pepe.
Allora la pastasciutta veniva liquidata come una specialità locale napoletana: quanta acqua di cottura è passata sotto i ponti. L’inaugurazione dell’evento espositivo è prevista per oggi; il finissage il 22 novembre. Sempre a proposito di ricorrenze: il 25 ottobre è la “Giornata mondiale della pasta”, ormai associata al rosso, con una spruzzata di parmigiano. Insieme alla pizza, è il più potente antidepressivo naturale, economico e nemmeno troppo calorico.
La mostra, a cura del libraio antiquario milanese Andrea Tomasetig, prende le mosse dal saggio di Laterza Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro, scritto da Massimo Montanari, docente e storico dell’alimentazione. Cento pagine erudite, salate il giusto, sulla saga e sulle tante ibridazioni della portata tricolore per antonomasia. La genesi in Mesopotamia, il ruolo subalterno nei banchetti greco-romani, gli arabi, la pasta fresca o secca, Marco Polo e la Cina, la Sicilia dei “mangiamaccheroni”, le mani e la forchetta, la scoperta del pomodoro in Messico e quello in salsa spagnola, il “pepe d’India”, il burro e l’olio d’oliva. Montanari si è occupato delle didascalie, mentre le immagini sono farina del sacco dell’incisore Luciano Ragozzino. “Perché da un libro così non fare una mostra? Ci siamo detti. Bella idea, ma ci voleva un artista all’altezza. La gastronomia è un tema difficile da trasporre nel linguaggio dell’arte contemporanea – spiega al Fatto Tomasetig –. Per fortuna c’è Ragozzino. L’ho conosciuto e apprezzato nella magica officina brianzola di Alberto Casiraghy. Per gli spaghetti ha usato una delle tecniche in cui è maestro, l’acquerello. Il risultato sono queste 18 tavole più morbide delle acqueforti e godibili per il colore, ironiche e puntuali nel contrappunto grafico ai testi. Sono certo che i visitatori da oggi in poi guarderanno con altri occhi un bel piatto di spaghetti al pomodoro”. Metafore iconografiche di doppio livello che si attorcigliano alle papille gustative della memoria.
Ecco gli spaghetti che avvolgono lo Stivale congiungendosi con la sua geografia. Pulcinella che li porta alla bocca con voluttà. Le nozze tra il pomodoro e il peperoncino testé arrivati dall’America. La statua della libertà che imbraccia una forchettata fumante. Il fragoroso pesce d’aprile del 1957 della Bbc, che annunciava agli inglesi l’ottimo raccolto dei fantomatici alberi di spaghetti nella valle del Po. I vermicelli in uso ai tempi di Dante, è ancora il suo settecentenario. Il tributo che lo stesso Artusi rese nel suo opus magnum, aggettivo quantomai pertinente, al poeta fiorentino. Le parole di Monica Alba e Giovanna Frosini che corredano due ulteriori tavole di Ragozzino.
La svolta iniziale e iniziatica avvenne intorno al 1500-600, grazie all’introduzione delle “due macchine-chiave dell’industria pastaria, la gramola, cioè l’impastatrice meccanica, e il torchio, ispirato a quello per pigiare l’uva, che pressava la pasta nei fori di una trafila metallica onde ottenere le forme volute – sintetizza Montanari –. I maccheroni furono così promossi a cibo base partenopeo, e il binomio pasta-formaggio sostituì il tandem cavolo-carne”. Il rango degli spaghetti era mutato per sempre. Non sarebbero mai più mancati nelle dispense delle abitazioni borghesi e di quelle popolari, nei castelli e nelle stamberghe, nei ristoranti stellati o nelle osterie con mezza porzione. Spessi o sottili, standard e integrali, lunghi o corti. “Maccarone, m’hai provocato e io te distruggo”, sibilava Alberto Sordi in Un americano a Roma. Totò li fagocitava estaticamente e manualmente, fino allo spasimo, in Miseria e nobiltà. “La vita è una combinazione di pasta e magia” (Federico Fellini dixit). Buona visione, e buon appetito.