Corriere della Sera, 15 ottobre 2021
Se l’algoritmo sceglie il tuo posto in sala
Che a Roma si sia aperta una «festa» e non un «festival» lo si capisce da tante cose: il cielo azzurro, l’allegria diffusa, le scolaresche che affollano le proiezioni. Ma è soprattutto un particolare che cancella la vera essenza del festival: non certo la qualità dei film presentati (che spesso oscillano anche nelle rassegne più blasonate) ma la fondamentale possibilità di scegliere il posto in cui sedersi. Lo sanno anche i sassi che non tutti i posti sono uguali e che ogni cinefilo ha il suo sedile d’elezione. Chi in prima fila per farsi fagocitare dallo schermo e chi nell’ultima, chi al centro della platea e chi di lato. L’esempio aureo è quello di Jacques Rivette, il «Saint-Just della cinefilia» per dirla con Godard, che si sedeva sempre nella stessa poltrona alla Cinémathèque (a sinistra dello schermo, davanti ma non troppo) e preferiva uscire se trovava il «suo posto» già occupato. Non è follia, è la giusta distanza (e la giusta angolazione) che un film richiede per essere davvero apprezzato. Ma la libertà di questa scelta alla festa di Roma non si può fare. Le regole imposte dalla pandemia hanno costretto a prenotare il posto, ma il sistema non permette di scegliere e fa tutto da solo: il cervellone decide il posto secondo quella che considera in quel momento l’opzione più conveniente. Il problema è che la «convenienza» non è quella dello spettatore ma quella dell’ennesimo algoritmo che sceglie al nostro posto. E vedere un film dalla poltrona algoritmicamente «più conveniente» rischia di non essere conveniente proprio al piacere che vorremmo ritrovare andando al cinema.