Il Post, 15 ottobre 2021
Storia di Lercio
Negli ultimi anni la definizione di “fake news” è stata spesso usata in maniera sbrigativa e generica per descrivere qualsiasi tipo di notizia falsa o sostenuta tale – soprattutto nel linguaggio della politica, o in generale quando qualcuno cerca di smentire un’informazione che lo riguarda – confondendo il suo significato letterale con il più esteso dibattito sulla disinformazione in questi anni. “Notizie false”, poi, è un’espressione che assume tutt’altro valore se la falsità è palese: che è un formato tradizionale della satira. Le persone che lavorano a Lercio, popolarissimo sito italiano di notizie satiriche, sono state spesso costrette a ricordarlo, negli anni del loro lavoro. «A noi piace dire che diamo notizie false che vogliamo sembrino false, ma che trasmettono un messaggio vero. Mentre le fake news sono notizie false, che si vuole che sembrino vere, e che trasmettono un messaggio falso», dice Andrea Michielotto di Lercio.
L’obiettivo di Lercio non è mai stato scrivere notizie che possano essere davvero prese per vere – sebbene qualcuno si sia comunque confuso in diverse occasioni (ci torniamo) – ma fare satira, sulla realtà e su come vengono presentate le notizie da parte dei mezzi d’informazione e nella discussione pubblica. La parodia giornalistica in Italia ha predecessori illustri, come le riviste settimanali satiriche Il Male (attiva tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta e responsabile di alcune famose ingannevoli imitazioni di quotidiani) e Cuore (inserto nato come allegato all’Unità dal 1989 e poi autonomo e di grande diffusione), o il mensile livornese il Vernacoliere, pubblicato tuttora. Michielotto li cita come «un po’ i nostri padri nobili», nonostante siano giornali cartacei, anche perché «nessuno prima di noi faceva la parodia del giornalismo sul web». Lercio però non è una testata giornalistica e non è fatto da giornalisti: ci sono ventidue persone che pensano e scrivono i contenuti, ma lo fanno per hobby e hanno altri lavori che considerano principali (tutti lavori molto diversi tra loro, e che in pochi casi hanno a che fare con la comicità).
Negli anni però l’organizzazione interna di Lercio è diventata sempre più simile a quella di una redazione: c’è un gruppo più ristretto che ha funzioni di coordinamento e altri sottogruppi che si occupano più specificamente di alcune mansioni (per esempio i social). Ogni giorno vengono pubblicate tre notizie inedite: un articolo lungo e due di quelle che vengono chiamate “breaking news”, notizie che hanno solo il titolo. Poi ci sono alcune rubriche fisse, come gli annunci (3 a settimana) e la pubblicazione di articoli dei lettori al sabato. Ci sono riunioni per decidere i temi (o decidere come coprire certi temi irrinunciabili, per esempio le elezioni) e, una volta scelti, momenti in cui si raccolgono le battute che verranno poi scremate fino alla pubblicazione. Gli articoli lunghi vengono riletti da più persone, che prima correggono la forma e i refusi, poi discutono di come si potrebbero migliorare certe battute o di inserirne altre.
Nonostante l’organizzazione e la grande notorietà, Lercio resta un hobby soprattutto per ragioni economiche. Sui social ha più follower di molti dei giornali italiani che scimmiotta (1,5 milioni su Facebook, 800mila su Twitter, 700mila su Instagram), ma i ricavi derivano soprattutto dalla pubblicità sul sito, dove il traffico è molto più contenuto. Dalle visualizzazioni e condivisioni sui social non si guadagna, a meno di non introdurre contenuti sponsorizzati: che sarebbero poco plausibili su Lercio, sia per gli inserzionisti che per il giornale. Altri ricavi arrivano dai libri pubblicati ogni anno, da alcune serate di comicità nei locali e da collaborazioni con radio e tv. Questi ricavi bastano a coprire le spese per mantenere il sito, i tecnici che se ne occupano e altre figure professionali che curano la comunicazione, oltre a organizzare gli eventi dal vivo nei locali. Quello che avanza non è sufficiente a pagare uno stipendio a ventidue persone, ma essere così tanti – nonostante i contenuti siano tutto sommato limitati – è un’esigenza creativa e di varietà di ciò che viene pubblicato.
Tutte le persone che lavorano a Lercio ci sono fin dalla fondazione, da ottobre 2012, e hanno condiviso lo stesso percorso. All’epoca in realtà erano una quarantina, e diversi negli anni hanno lasciato per ragioni lavorative o personali, e non è mai stato inserito qualcuno di nuovo per la precisa scelta di mantenere un gruppo coerente e con uno stile molto definito. I componenti sono distribuiti un po’ in tutta Italia (un paio sono all’estero) e hanno età anche molto diverse, tra i 27 e i 50 anni.
Il gruppo della fondazione si era formato anni prima, intorno al 2009, alla “Palestra” di Luttazzi, un blog in cui il noto comico Daniele Luttazzi ospitava le battute degli appassionati di satira sui fatti del giorno, pubblicando le migliori sul suo sito. Le battute erano sempre firmate, e così le persone che venivano pubblicate più spesso cominciarono a conoscersi, soprattutto attraverso Facebook. Quando chiuse “La Palestra”, circa quaranta di loro decisero di creare “Acido Lattico”, una pagina Facebook per non perdere l’abitudine a pubblicare battute sull’attualità, che al massimo della sua popolarità raggiunse circa 15mila “like”.
Sia le battute pubblicate su “Acido Lattico”, sia molte di quelle pubblicate sulla “Palestra” si basavano su uno schema fisso che prevedeva una premessa vera, quasi sempre un fatto di cronaca, più la battuta. Era uno schema efficace e in certi casi di successo, ma non era nuovo: in Italia per esempio esisteva già Spinoza, altro noto blog di satira, che per quel genere di battute era diventato il punto di riferimento, ed era difficile fargli concorrenza.
Nel 2012 Michele Incollu, del gruppo di Acido Lattico, ebbe l’idea di creare una pagina che ricordasse graficamente quella del quotidiano Leggo, chiamandola appunto Lercio. L’intento era parodiare non tanto o non solo Leggo, ma tutto un certo tipo di giornalismo italiano online che, soprattutto in quegli anni, puntava molto sul sensazionalismo e sul “clickbait”, quel modo di scrivere i titoli o di scegliere le immagini degli articoli in modo da attirare spudoratamente l’attenzione del lettore e invogliarlo ad aprirli. Già dal nome scelto e dalle intenzioni, con Lercio il modo di fare satira del gruppo di Acido Lattico cambiò sottilmente, ma in maniera decisiva. Non c’era più bisogno di partire dalla realtà: si decise di scrivere notizie che fossero già esse stesse una parodia della realtà e titoli falsi che fossero già la battuta.
«Nessuno in Italia faceva questo genere, che poi abbiamo scoperto chiamarsi “mock journalism” o “fictional news”», spiega Andrea Michielotto. «Mock vuol dire più o meno “prendere in giro”, ma anche “imitare”, per noi indica un finto giornalismo con scopo comico-satirico». L’ironia di Lercio quindi non è solo nel contenuto delle notizie, ma anche nella forma di un giornalismo pieno di tic. Per i primi anni su Lercio poi ci fu molta meno politica italiana di quanta non ce ne sia oggi, perché la volontà era di apparire «ancora più surreali», dice Michielotto. All’estero esistevano già cose simili: negli Stati Uniti lo storico The Onion (anche in versione cartacea), nel Regno Unito il Daily mash, in Francia Le Gorafi (anagramma di Le Figaro, forse il più simile a Lercio), tra i più noti.
Lercio funzionò da subito e in brevissimo tempo superò il seguito di Acido Lattico, così le attenzioni e l’impegno del gruppo – che ha comunque continuato a curarli entrambi per diversi anni – si spostarono maggiormente su Lercio. I maggiori incrementi di notorietà Lercio li ha avuti ogni volta che qualcuno di molto conosciuto ha scambiato una sua notizia per vera.
La prima volta accadde nel 2013, quando un articolo di Repubblica XL (un mensile di Repubblica rivolto a un pubblico più giovane che cessò di essere pubblicato proprio in quell’anno) riprese una notizia di Lercio, scambiandola per vera, in cui si raccontava che Radio Maria un pomeriggio avesse iniziato a trasmettere musica metal. Il titolo del pezzo (“Errore nel sistema operativo, Radio Maria passa i Megadeth”) non aveva elementi che lo connotassero come ironico, se non la stranezza della storia, ma bastava aprirlo per leggere frasi volutamente assurde e inequivocabilmente satiriche, come «“Mi sbarbo le palle a sentire tutto il giorno preghiere – si sarebbe giutificato Pio Settimino, l’impiegato – è sempre la solita cantilena”». Il pezzo di Repubblica XL citava addirittura dei passaggi da quello di Lercio: l’incidente fu molto ripreso in rete e Lercio in pochi giorni passò dall’avere un migliaio di “like” per ogni post pubblicato sui social, a qualche decina di migliaia. Radio Maria fu costretta a una smentita.
Altre volte capitò che bastasse toccare temi divisivi per confondere molte persone, che riprendevano con leggerezza i titoli per avvalorare le proprie tesi polemiche: l’ex ministra Cecile Kyenge ricevette numerosissimi insulti per aver proposto di dar da mangiare cani e gatti degli italiani agli immigrati, salvo il fatto che non avesse mai detto nulla del genere; Carlo Cracco dovette precisare di non aver mai condito gli agnelli da vivi, prima di cucinarli.
Nonostante le molte confusioni, la satira di Lercio non ha mai avuto conseguenze legali: solo una volta il gruppo fu costretto a cancellare il nome di un paese da un articolo, “Lega Nord: «Via dalle scuole gli orologi con i numeri arabi»”, perché quel paese era effettivamente governato da un sindaco leghista, che se ne lamentò dopo aver visto la notizia circolare in rete. Michielotto racconta anche che le persone più permalose con cui si sono confrontati negli anni «sono quelle che hanno a che fare col palio di Siena: per alcuni articoli sono arrivate anche minacce di morte, ma non li abbiamo mai tolti o modificati».
Ciò che genera equivoci, dice Michielotto, è che alcune delle notizie reali che leggiamo sono talmente assurde che finiscono per confondersi con quelle satiriche. Anche per questo qualche tempo dopo Lercio nacque – sviluppo ulteriore della confusione tra falso e vero – la pagina Facebook Ah ma non è Lercio che tutt’oggi raccoglie titoli veri che suonano così strani da sembrare inventati da un sito di satira. «Ci sono notizie che ci superano», dice Michielotto, «c’è un continuo inseguimento tra la realtà e il nostro mondo iperreale».