Santana non smentisce il suo approccio mistico anche verso la musica: sostiene che i tanti ospiti del disco, da Steve Winwood che con lui propone una sorprendente versione di A whiter shade of pale dei Procol Harum a Rob Thomas, con cui torna a collaborare a 20 anni da Smooth , fino al compianto Chick Corea, che con lui ha realizzato una delle sue ultime incisioni, gli siano stati portati affianco da forze supreme e che le canzoni abbiano viaggiato fino a lui sulle ali degli angeli.
Santana, l’album si apre e si chiude con un brano intitolato "Ghost of future": chi è il fantasma del futuro?
«La tua immaginazione, la tua determinazione, e la benedizione di Dio».
Lei sostiene che il nostro potere come esseri umani risiede in luce, spirito e anima, cosa li distingue?
«La luce è Dio, lo spirito e l’anima sono individuali, ma sono nella stessa casa, si tratta solo di piani diversi».
In questo album ci sono tante potenziali hit, potranno fare il miracolo di riportarla in testa alla classifica?
«Nessun può dirlo, ma con Dio dalla tua parte tutto diventa possibile. Quello che abbiamo cercato di fare è proprio scrivere delle canzoni che potessero raggiungere la classifica, quindi è come se avessimo sottoposto a Dio la richiesta. È come per le preghiere, devi chiedere con intensità e devi credere che accada, nel mio caso che Dio raccolga il mio desiderio di raggiungere tutti i telefoni cellulari del pianeta e attraverso quelli toccare il cuore della gente».
Perché ha voluto riprendere "A whiter shade of pale ", un classico degli anni Sessanta?
«L’idea mi è venuta nel 2018 mentre con Steve Winwood eravamo sul palco a Londra per un concerto di Eric Clapton a Hyde Park, di fronte a 70mila spettatori. Fui io a proporgli di rifare A whiter shade of pale ; lo avevo immaginato seduto all’Hammond che la cantava e io alla chitarra, ma la suonavamo in una chiave completamente diversa: "Potremmo renderla africana, anche un po’ portoricana, insomma sexy", gli dissi. Lui restò per venti secondi in silenzio, come rapito, poi mi rispose che già se la immaginava anche lui, ed era entusiasta di farla».
È davvero un album collettivo, non dev’essere stato semplice realizzarlo durante la pandemia.
«Tutto sommato non è stato molto diverso da quando in altre epoche ci scambiavamo idee registrate su nastri o cassette. Ora utilizziamo lo streaming ma in fondo è la stessa cosa. La distanza non ha influenzato negativamente il processo compositivo e neanche quello realizzativo. È un disco nato dalla voglia di collaborare e di condividere. In alcuni casi sono stati gli artisti a chiamarmi, come Dianne Warren e G-Eazy o Ally Brooke che aveva due canzoni per me; in altri ho chiamato io, come nel caso di Chris Stapleton perché desideravo da tanto di poter fare qualcosa con lui».
Come è riuscito a convincerlo a lasciare la sua comfort zone nel country per portarlo in un ambiente completamente diverso come il reggae?
«Joy è davvero una canzone che conquista al primo ascolto. A Chris ho detto: "Vorrei creare con te una canzone che in questo mondo soffocato dalla paura curi l’anima delle persone e lo vorrei fare nello stesso spirito di One love di Bob Marley e di A love supreme di John Coltrane. Quando mi ha richiamato aveva scritto Joy: è musica con una forza curativa, in grado di infondere speranza e coraggio alle persone, portare luce nelle menti in cui l’infezione ha portato il buio. Volare sulle ali degli angeli, questo accade in una collaborazione riuscita».
In "All together" suona con Chick Corea, scomparso da poco, e con sua moglie Gayle Corea.
«Il coro che la apre è celestiale, quando l’ascolto mi vengono i brividi, riesce a confondere i confini tra fisico e metafisico. La prima volta che ci incontrammo con Chick suonava nel gruppo di Miles Davis. Ho sempre saputo che lui, McCoy Tyner, Keith Jarrett e Herbie Hancock sfidavano le convenzioni. Anch’io posso dire di suonare bene ma loro sono dei geni dell’armonia».
Lei ha detto di sentirsi come un surfer che cavalca le onde e le onde diventano canzoni. Come nasce una hit? "Move", con Rob Thomas, può diventare la nuova "Smooth"?
«Questo non lo so. Ciò che so è che quando suono Move provo una grande gioia: è una canzone che muove un’onda lunga di emozioni, proprio come faceva Smooth ormai più di venti anni fa».
È anche un album familiare: cantano i suoi figli, sua moglie Cindy Blackman suona la batteria.
«Mi sento come Barry White che cantava con la moglie Glodean (abbassa la voce e ne fa l’imitazione, ndr). Suonare con mia moglie e i miei figli è come giocare in giardino a colpire la pignatta per raccoglierne insieme i dolci che cadono. Mi auguro di poter presto cantare anche con Angelica, la figlia più piccola».
Come i Rolling Stones lei negli ultimi 60 anni a ogni decade ha avuto un album nella top ten.
Succederà anche negli anni Venti?
«Perché no? Nulla è impossibile. E del resto avere 74 anni ed essere ancora così rilevante nella musica è una benedizione. Quindi dico grazie a tutti e grazie a Dio».