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 2021  ottobre 15 Venerdì calendario

Gascoyne, il poeta che diventò pazzo

La storia ha afrore di miracolo. Dopo varie peregrinazioni in diversi ospedali psichiatrici, il poeta sbarca sull’Isola di Wight. È ricoverato per collasso nervoso al Whitecroft Hospital, ospizio per malati di mente dal profilo minaccioso, che si eleva come un grido in mattoni nella bruma inglese; nel 1992 è stato dismesso. Mentre Jimi Hendrix, Leonard Cohen e i Doors suonavano al mitologico «Isle of Wight Festival», il poeta faceva di tutto per cancellarsi dal mondo. Nella vita precedente, David Gascoyne (1916-2001) aveva scritto un libro sulla follia di Hölderlin e si era precipitosamente tutto, nella storia di questo ragazzo, accade a precipizio iscritto al Communist Party. Con un libro di William Blake in tasca e Marx nel cervello, voleva menare le mani: andò in Spagna negli anni in cui combatteva George Orwell per convincersi come lo scrittore di 1984 che la politica è puttana, l’ideologia assenzio e i rossi’ dei vili bastardi («i comunisti laggiù disprezzavano apertamente gli anarchici, il POUM, etc.»). A differenza di Orwell, però, Gascoyne abbandonò la lotta partitica; si diede alla religione, cominciò a scrivere poesie straordinarie e allucinate, che ricordavano l’Apocalisse.
In ospedale, quel giorno, era il 1973, estate, alcuni volontari leggono poesie ai matti. Judy così si chiamava la volontaria, Judy Lewis: decisa, commossa, graziosa sceglie una poesia, dice che è la sua preferita, s’intitola September Sun, attacca: «Concedici di consumare nel fuoco, digiuni,/ e possa l’oro vivere in me e coniare/ la mia vita, trasmutando in un fine migliore/ questa usura ottusa e autarchica». Silenzio. Dal fondo dell’aula un tizio alza la mano. Aveva ancora quello sguardo spettrale, occhi oceanici, generosi e blu, volto quadrato, che Patrick Swift, il pittore irlandese, era riuscito a ritrarre nel 1958. Sono io, dice il tizio. Sono io l’autore di quella poesia. Sono David Gascoyne. Judy sorride, fa sì con la testa, lo prende, appunto, per pazzo. Quando scopre che quel paziente è davvero David Gascoyne, lo sposa. La raccolta dei Collected Poems, da tempo, era un libro di culto, costantemente ristampato; del poeta, tuttavia, s’era persa traccia.
Fratello lirico di Dylan Thomas si frequentavano, in orfica dissipazione, David Gascoyne fu baciato da una abbacinante precocità. Nato a Harrow, nei sobborghi di Londra, nel 1916, esordì, sedicenne, con Roman Balcony and Other Poems. Si urlò al prodigio. Gascoyne disprezzava la moda poetica imposta da W.H. Auden, alla mondanità preferiva la mistica, T.S. Eliot gli interessava fino a un certo punto: partì per Parigi certo di trovare casa tra le truppe dei Surrealisti. In effetti, diventò intimo di André Breton e di Benjamin Peret, scrisse poesie per Salvador Dalí e René Magritte, il suo saggio, A Short Survey of Surrealism (1935), fu il primo, organico tentativo di esportare l’avanguardia surrealista in Inghilterra. Tra i promotori dell’International Surrealist Exhibition alle New Burlington Galleries di Londra, giugno 1936, il più accanito era lui. Tra gli artisti in piazza figuravano De Chirico e Giacometti, Paul Klee e Brancusi, Picasso, Tanguy, Picabia e Duchamp. Fu un successo.
Gascoyne, tuttavia, non si fa inscatolare in generi né nell’idolatria di un -ismo. L’incontro determinante, a Parigi, dura l’attimo di una manciata di notti, memorabili, al 6 di rue Rollin, nel 1937. Folgorato dalla lettura di Rimbaud le Voyou, il poeta scrive a Benjamin Fondane, il pensatore estremista, discepolo di Lev estov, «che così tanta influenza ha avuto nel momento cruciale della mia giovinezza». Fondane risponde al poeta «Perdonatemi se non cerco di distogliervi dalla vostra disperazione, poiché la ritengo salutare; mentirei, tuttavia, se vi lasciassi credere di ritenerla una conclusione quando, al contrario, per me è un punto di partenza...» e lo invita a casa sua. Molti anni dopo, uscito dalla casa dei matti, ripercorrendo la propria giovinezza, nel 1984, Gascoyne pubblica il resoconto dei suoi Incontri con Benjamin Fondane in un libro di raro splendore, un amuleto, pubblicato da Aragno in corrispondenza del Salone del libro di Torino per la cura di Luca Orlandini, con mole di documenti ritrovati (tra cui, la fatidica lettera di Fondane, custodita, per anni, in tasca, dal poeta, fino a smarrirla). Molti anni dopo, scrivendo di Fondane in uno dei suoi Esercizi di ammirazione, Emil Cioran, ricorderà «il poeta inglese David Gascoyne... che avrebbe avuto anche lui, in altre circostanze, una sorte tragica». Fondane era morto ad Aushwitz, nel 1944; Gascoyne è riuscito a risorgere dal delirio mentale. «Niente può essere paragonato all’incubo che hanno vissuto le vittime dei nazisti, e soprattutto un uomo così appassionatamente lucido e sensibile come Fondane», dirà Gascoyne, rettificando Cioran, certo, forse, che il tragico possegga un metro di misura.
Quarant’anni fa Gascoyne fu onorato, a Genova, con il premio «Poesia Europa»: di fatto, in Italia, a parte rare traduzioni di Attilio Bertolucci, Franco Buffoni, Marco Fazzini, è uno sconosciuto. Peccato, le sue poesie sono violente, bellissime. Visse a lungo, fino al 2001; i giornali continuarono a celebrarne la feroce giovinezza, «fu paragonato a Rimbaud, e di Rimbaud rappresentò la promessa», scrisse il Daily Telegraph. D’altronde, di sé Gascoyne aveva detto tutto, da tempo: «scrisse poesie quando era giovane, poi diventò pazzo».