Il Messaggero, 15 ottobre 2021
Intervista a Marina Cicogna
La vita da jet set con Onassis, Jake Kennedy e i Rolling Stones, l’Oscar vinto per il film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, gli amori con Florinda Bolkan e l’attuale compagna-figlia adottiva Benedetta, l’amicizia con Gianni Agnelli, la famiglia aristocratica, i ricordi, il presente. E una rivelazione: «Da un anno e mezzo ho un tumore». Alla Festa di Roma, oggi Marina Cicogna si metterà a nudo nel documentario Marina Cicogna – La vita e tutto il resto diretto da Andrea Bettinetti. A 87 anni (insospettabili), la prima produttrice italiana, icona di stile, donna libera e anticonformista, ripercorre la sua storia tra agi e dolori (la rovina finanziaria della madre, il suicidio del fratello Bino) attraverso foto, filmati, testimonianze. Un’autobiografia ma anche una cavalcata nell’Italia del bel mondo e del grande cinema che non c’è più. Ma Marina guarda avanti. Senza pentimenti, giura.
Nemmeno un rimpianto?
«Mi dispiace soltanto di aver mollato il cinema troppo presto, quando gli americani rifiutarono di fare film come Il Conformista, Ultimo tango a Parigi, Portiere di notte. Preferivano le commedie di Alberto Sordi e Nino Manfredi. Ma io non avrei dovuto scoraggiarmi».
A che punto è la sua malattia?
«La tengo sotto controllo con una chemio leggera che mi ha reso un po’ più debole e bisognosa di sonno. Il tumore mi ha cambiato la vita, insegnandomi il distacco dai riti sociali. Oggi sto più in casa, leggo tanto».
Come definirebbe la sua vita?
«La testimonianza di un’epoca ormai finita. Ho avuto la fortuna di vivere un periodo di grande creatività nel cinema, nell’arte, nella letteratura. Poi il mondo è peggiorato. E quello attuale non mi piace».
L’incontro più importante?
«Con il produttore David O. Selznick che accese in me, ancora giovanissima, la voglia di fare cinema. E ho fatto un cinema straordinario con tutti i grandi».
Tra gli altri con Elio Petri, Pier Paolo Pasolini, Liliana Cavani, Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni: ha mai litigato con qualcuno?
«Con Giuseppe Patroni Griffi: durante le riprese di Metti una sera a cena si svegliava alle 14».
Chi era per lei Gianni Agnelli?
«Un amico vero che oggi mi manca. Aveva un grande umorismo e in due parole ti spiegava la realtà. Ad accomunarci era l’impazienza».
Fu trasgressiva la sua scelta di vivere con Florinda Bolkan alla luce del sole 40 anni fa, in un’epoca in cui l’omosessualità non era accettata?
«Nessuna trasgressione, fu una scelta naturale. Non ho mai sentito il bisogno di sbandierare o nascondere il mio orientamento sessuale».
Oggi si ostenta troppo?
«Fare coming out può essere utile a qualche gay per superare i sensi di colpa e la vergogna. E pensare che nel secolo scorso l’omosessualità era vissuta apertamente. Poi, nel dopoguerra, gli americani hanno esportato il puritanesimo da cui tra l’altro è nato il #MeToo».
Disapprova la deriva giustizialista del movimento?
«Sì, se penso che ha fatto a pezzi grandi registi come Woody Allen e Roman Polanski... Ma prendersela con Harvey Weinstein era doveroso, è sempre stato un prepotente».
Il cinema italiano di oggi le piace?
«Mi sembra autoreferenziale e incapace di vendersi. E i registi vogliono fare di testa propria senza ascoltare i produttori. Amo solo Paolo Sorrentino e Matteo Garrone».
Cosa la lega a Benedetta, al suo fianco da 32 anni?
«È una donna con i piedi per terra, molto gradevole e sempre pronta a sostenermi anche se litighiamo molto. La adottai 20 anni fa quando i miei nipoti si fecero avanti pretendendo i miei soldi. Lascerò tutto a lei».
Oggi che esistono le unioni civili l’avrebbe sposata?
«Nemmeno per sogno, l’avrei adottata comunque. Detesto il matrimonio».