il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2021
Il volto politico delle criptovalute
Dallo scorso anno si è manifestato un nuovo interesse per le criptovalute e non si è affievolito nel corso del 2021. Perché? Queste valute si sviluppano, sono meglio disciplinate dalle autorità pubbliche, spaventano ancora i responsabili politici che, per contromisura, attuano normative sempre più invadenti. Essi cercano anche di lanciare le proprie criptovalute, valute digitali delle Banche centrali.
(…) L’installazione delle criptovalute nel panorama culturale comporta uno spostamento antropologico, di cui vorremmo qui delineare i contorni. Se ci si libera della concezione restrittiva degli economisti che riducono la moneta alla sua triplice funzione (unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore), allora ci si accorge che la moneta svolge il ruolo di un pegno. Un pegno è un oggetto simbolico che memorizza un debito. L’euro che ho in mano o nel mio conto in banca è il segno di un impegno da parte di tutti coloro che un giorno dovranno forse corrispondermi la contropartita sotto forma di un servizio, di una merce o di un’altra valuta. Certo, questo non è un riconoscimento di debito verso una persona, un’azienda o un’amministrazione; inoltre, questo pegno non ha una scadenza determinata. Ciò non toglie che questo pegno sia per me la promessa ricevuta da una comunità che si impegna – è il caso di dirlo – a soddisfare, quando sarà il momento, i miei bisogni, nel modo in cui li avrò percepiti. Per questo gli antropologi parlano della moneta come di “debito di vita”.
In termini più rigorosi, la moneta è un credito a vista nei confronti di una comunità di pagamento. Credito, perché è il segno di un debito. A vista, poiché posso reclamare la contropartita in qualsiasi momento. Nei confronti di una comunità, in quanto posso rivolgermi a qualsiasi membro della comunità, fornitore di beni o di servizi, o speculatore. Di pagamento, perché, trasmettendo questo pegno, mi libero da un debito personale senza per questo estinguere il debito della comunità. Infatti, il pagamento in denaro è semplicemente la trasmissione di un pegno alla comunità, perché il fornitore che riceve il mio pagamento acquisisce un pegno, segno di un debito della comunità nei suoi confronti. D’altronde, egli accetta questo pegno in pagamento solo se è convinto che, quando sarà il momento, la comunità onorerà il suo debito. Debito di vita, dunque, perché la moneta mobilita i beni e le capacità della comunità, al servizio – e secondo le scelte personali – di ciascun membro.
L’antropologia soggiacente alla moneta, come riconoscimento del debito di una comunità verso ciascuno, si fonda quindi su un rapporto asimmetrico, su una dipendenza. Ma solo una concezione sbagliata della libertà potrebbe vedere in questa dipendenza dalla comunità di pagamento un’alienazione. Senza nemmeno andare a cercare in Spinoza la giustificazione della libertà come somma dei condizionamenti accettati, basta ricordare con tutta la tradizione cristiana la natura sociale e politica dell’essere umano.
La dimensione politica dell’essere umano sembra svanire nell’uso delle criptovalute, almeno di quelle che non hanno corso legale. I creatori delle criptovalute volevano sovvertire questa fondamentale struttura antropologica, calandosi nella corrente individualista radicale della modernità contemporanea. La crittografia elettronica da cui sono nate le criptovalute è stata in principio, a partire dagli anni Ottanta, il terreno dei cypherpunk (parola composta dai termini inglesi cipher “crittografia” e punk: letteralmente, gli “anarchici della crittografia”). Era il momento in cui il sistema Internet lasciava intravedere il pericolo di un controllo della vita privata da parte di un’amministrazione pubblica tentacolare, allo stesso modo dei regimi totalitari evocati dal noto romanzo di George Orwell 1984.
La tecnologia utilizzata dalle criptovalute, la blockchain, rimuovendo i cosiddetti “intermediari di fiducia” (banche o piattaforme di pagamento), spingeva così all’estremo la tendenza culturale del Do it yourself (“fai da te”). Attraverso la blockchain si svaluta l’istanza politica, sfuggendo alle norme decretate dal coordinatore centrale. L’individuo acquisisce così un margine di libertà. Un passo fondamentale è stato compiuto quando, alla fine degli anni Novanta, è stato scoperto il modo per sostituire l’intermediario di fiducia con un controllo multipolare distribuito sul web. Perché nei trasferimenti telematici la più grande minaccia alla segretezza è il furto di identità o, al contrario, la sua divulgazione, che risulta particolarmente agevole quando si accede al database centrale responsabile delle interconnessioni tra i partecipanti. Così è stato per i conti nascosti nei paradisi fiscali. Con la blockchain non c’è nessun database centrale, nessun intermediario che controlla l’identità dei partecipanti e la legalità dell’operazione. La riuscita del trasferimento è garantita senza intervento umano.
Attraverso l’uso delle criptovalute, la soggettività consentita dal pegno monetario è dunque spinta fino all’individualismo. Questa soggettività individualistica non è però priva di regole del gioco. L’autonomia individuale di cui si compiacciono gli appassionati dell’ideologia moderna resta condizionata. Su questo punto antropologico le criptovalute differiscono dalle valute legali. Come le fiches dei casinò o le monete locali, le circa 70 valute locali, ad esempio, che circolano in Francia valgono un euro. Allo stesso modo, le unità di conto nelle associazioni che praticano il baratto tra i loro membri – questi sistemi locali di scambio (Sel), come vengono chiamati – presuppongono, oltre alla conoscenza dei soggetti dello scambio e a una contabilità precisa, un certo consenso sul valore dei servizi scambiati. Invece, nel sistema delle criptovalute, l’identità degli aventi diritto rimane sconosciuta, fino a quando essi non vogliono convertire le loro criptovalute in valute legali, dollari, yen, euro. È qui che sta in agguato la Pubblica amministrazione.
Lo spirito anarchico che ha presieduto all’emergere delle criptovalute rimane, almeno in una parte dei loro utilizzatori. Ma ciò significa forse che dal sistema è assente qualsiasi tipo di regolamentazione? No. Non si può immaginare un’istituzione – lingua, moneta, mercato – senza un minimo di organizzazione vincolante; o, per usare la formula consacrata dalle scienze sociali, nessuna comunità – per quanto ectoplasmatica, come quella delle criptovalute – senza società. Anche un’associazione di pescatori con la lenza, dove ogni membro partecipa o si ritira a seconda del proprio umore mutevole, è retta da alcune regole, procedure o consuetudini che si impongono. Nessuna interazione individuale è possibile, per le criptovalute come per qualsiasi comunità, senza linee guida che inquadrino e limitino le iniziative di ciascuno.