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 2021  ottobre 14 Giovedì calendario

Anche Apple resta senza chip

Sarà meno luccicante del previsto la trimestrale di Apple dell’ultimo quarto di anno. Colpa dei chip, ormai merce rara. Quasi dei desaparecidos, scomparsi nei colli di bottiglia che intasano la catena di approvvigionamenti. Così, davanti alla penuria di semiconduttori, è costretto a inchinarsi anche un colosso come Cupertino.
Non c’è potere negoziale che tenga, solo la presa d’atto dell’impossibilità di poter mettere nelle mani dei consumatori, fra ottobre e dicembre, 90 milioni di iPhone 13 nuovi di zecca. E l’agenzia Bloomberg parla di un taglio drastico rispetto al target previsto, 10 milioni in meno di esemplari.
Uno sventolio di bandiera bianca inevitabile. Se Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (l’hub produttivo che sforna il processore core degli smartphone) sembra avere la situazione sotto controllo, altrettanto non si può dire per Texas Instruments e Broadcom, due fornitori fondamentali per Mela Morsicata: la prima produce i semiconduttori per la gestione dell’alimentazione degli schermi Oled, l’altra si dedica alla componentistica per la connettività wireless. Non potendo moltiplicare i semiconduttori, entrambe non potranno soddisfare del tutto le richieste del gigante hi-tech. Insomma: no chip, no party. Come già previsto alla fine del luglio scorso dal numero uno di Apple, Tim Cook, pronto però a rassicurare clienti e mercati: «Faremo tutto il possibile per mitigare qualsiasi serie di circostanze in cui ci trovassimo».
Eppure, come dicevano gli antichi, «ad impossibilia nemo tenetur». I miracoli non si possono fare. Anzi, semmai continua a piovere sul bagnato visto che il gruppo californiano ha dovuto fare i conti, una decina di giorni fa, con il power crunch cinese, la crisi energetica provocata dal combinato disposto dei prezzi record raggiunti dal carbone e dal rafforzamento delle misure per il taglio delle emissioni inquinanti disposte da Pechino. A subirne le maggiori conseguenze è stata soprattutto Eson Precision Engineering, la sussidiaria di Foxconn che assembla i melafonini, costretta a fermare le linee di produzione.
La carenza di semiconduttori e la spina staccata nell’ex Impero Celeste rischiano di impattare sulla consegna dei modelli Pro dell’iPhone di ultima generazione. A Cupertino è scattata una corsa contro il tempo: se gli ordini saranno evasi entro metà novembre, l’ultima trimestrale potrebbe garantire 120 miliardi di dollari di ricavi, con un incremento del 7% rispetto all’anno prima. L’iPhone, che ha generato quasi 40 degli 81 miliardi di fatturato fra aprile e giugno, resterà in ogni caso la gallina dalle uova d’oro per Apple. Anche se il Natale sarà meno luccicante del previsto.