Il Messaggero, 14 ottobre 2021
Breve storia di Alitalia
L’ultimo giorno di Alitalia non coinciderà forse con l’ultimo degli articoli che in questi anni sono stati scritti. Articoli sempre densi di cifre. Quanto ci è costata in tutti questi anni (7,4 miliardi dal 1974 al 2014 e quasi altrettanti dal 2014 a oggi per un totale non lontano da 13 miliardi). Quanti soldi sono andati in fumo per operazioni sbagliate, faraonici emolumenti ai manager, spese superflue, personale prima considerato tra le categorie privilegiate e poi condannato a una perenne insicurezza. Di questo si parlerà e si scriverà ancora, giustamente. Qui, in questo ultimo giorno, consentiamo a quelli che hanno conosciuto Alitalia in un’altra epoca, di condividere con qualche emozione un viaggio sentimentale nel passato della compagnia di bandiera e nei ricordi di tanti di noi.
Perché per molti italiani gli aerei Alitalia sono stati, letteralmente, il primo passo verso la scoperta del mondo. Era un aereo Alitalia che mi portava a Londra per il primo viaggio all’estero della mia vita e anche la prima vacanza-studio con i compagni di liceo. Ed era dagli oblò di un Boeing Alitalia, sorvolando la distesa di ville con piscina di Long Island, che ho fatto la prima aerea conoscenza di quel pezzo di Stati Uniti, New York, al quale tanti di noi in quegli anni, gli anni 80, guardavano con eccitazione e speranza.
GLI ANNI OTTANTAEcco, gli anni Ottanta, almeno nel ricordo di chi cominciava a viaggiare in quella stagione, coincidono forse col massimo splendore della compagnia di bandiera. L’Alitalia che portava ovunque gli italiani, a Bangkok e a Nuova Delhi, a Buenos Aires e in Australia. Per tanti anziani emigrati che con Alitalia tornavano a casa dopo anni in cui non avevano più messo piede in patria, il primo contatto col Paese che avevano lasciato coincideva con il «Buongiorno, benvenuto a bordo» della hostess che li accoglieva.
Le hostess Alitalia, già. Chi di noi, da bambina, non ha sognato di diventare come loro? Perché viaggiavano il mondo e pure ben pagate, e poi erano così eleganti nelle loro divise, ambasciatrici del made in Italy molto prima che la definizione diventasse di uso comune, con quelle giacche dal taglio perfetto, quelle gonne che non sono mai salite sopra il ginocchio, nemmeno all’epoca di Mary Quant. Divise create dai più grandi della moda italiana, nel 1950 le sorelle Fontana, poi Mila Schon, Renato Balestra, Giorgio Armani fino ad Alberta Ferretti nel 2018.
Per un’Italia che da metà degli anni Sessanta cominciava a scoprire il gusto di uscire dai propri confini, il brand Alitalia rappresentava un mix di emozioni e di orgoglio. L’orgoglio di avere la nostracompagnia di bandiera con la quale mettevamo un piede fuori dalla comfort zone ma rassicurati perché nel menu c’era la lasagna. L’emozione di chiedere un bicchiere d’acqua a quelle signorine e a quei signori in divisa, così internazionali, a volte alteri, che al primo viaggio incutevano anche un po’ di timore. Guardavamo al lato superficiale e scintillante della loro vita così diversa dalla nostra, poi, col tempo, abbiamo conosciuto l’altro lato della medaglia: un’amica hostess che come tante colleghe scopre l’effetto di ore e ore ad alta quota: un tumore al seno che le lascerà pochi anni di vita. Un amico pilota, orgoglioso della solida reputazione che i piloti Alitalia si erano guadagnati nei decenni, costretto sulla difensiva al bar o persino con i vicini di casa, perché ormai il pensiero comune è che è colpa sua, dei dipendenti Alitalia, se noi cittadini paghiamo da anni per lo spreco e l’inefficienza della compagnia.
Di sprechi e di soldi finiti chissà dove e comunque male è costellata la storia dell’Alitalia dagli anni Novanta in poi. Ma giacché questo è un viaggio sentimentale nei ricordi belli prima di quelli brutti, allora, se possiamo sfogliare insieme un’ultima volta l’album della nostalgia, l’Alitalia che voglio ricordare è anche quella cinematografica. Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Ingrid Bergman che scendono e salgono dalle scalette degli aerei, Jane Russel che arriva nel 59 a Ciampino accolta dai fotografi e come si diceva allora dai cineoperatori; Alberto Sordi e l’aereo che nel film Fumo di Londra lo porta appunto verso la capitale del momento. Perché, in quegli anni del boom economico, la compagnia di bandiera e il cinema italiano viaggiavano (è il caso di dirlo) insieme sul red carpet del successo, portavano Hollywood a Roma e gli spettatori davanti al grande schermo, a sognare il momento in cui ci sarebbero saliti pure loro, su un aereo.
IL DIROTTAMENTO SVENTATOL’album della nostalgia mescola anche ricordi privati, il primo viaggio di mia figlia, nata appena tre mesi prima e ancora nel porte-enfant, accolta con materna gentilezza delle hostess, e ricordi pubblici, noti e meno noti, i gesti insieme professionali e coraggiosi degli steward, delle hostess, dei piloti Alitalia: per dirne uno e uno solo, quella volta che un passeggero fuori di testa tentò di dirottare un volo verso Tripoli minacciando una hostess con un coltellino. Bloccato e messo in condizioni di non nuocere da steward e hostess Alitalia.
Come si legge su un muro di Milano, «neppure la nostalgia è più quella di una volta». E forse dobbiamo anche dare un taglio alla nostalgia, a furia di voltarci indietro e rimpiangere i nostri anni d’oro, abbiamo consentito che ci fosse rovinato il presente. Perciò basta: da domani pensiamo al futuro e facciamo in modo che Ita, la nuova compagnia, continui a far conoscere l’Italia a chi vuole venirci, consentendo ai tanti italiani che ormai viaggiano più per lavoro che per turismo di poter lavorare nelle stesse condizioni dei competitor. Vigiliamo perché sia così, visto che in tutti questi anni, nonostante gli articoli e le proteste, non ci è riuscito di evitare prima gli sprechi e poi il mesto the end di oggi.
Ma dopo tante volte in cui, sarà capitato anche a voi, abbiamo detto o pensato le peggio cose della nostra compagnia di bandiera perché un volo era stato cancellato all’ultimo momento o un biglietto ci sembrava troppo caro, dopo anni di critiche spesso meritate e a volte no, ecco è arrivato il momento di indirizzarle un «Grazie». Per quel tanto di sogni che ci ha fatto vivere. E perché, nell’ultimo giorno di Alitalia, i bei ricordi aiutano a sentirci un po’ meno tristi, un po’ meno arrabbiati