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 2021  settembre 17 Venerdì calendario

I racconti dell’autore tv Pietro Galeotti

Strano – e anche un po’ sospetto – che un Paese sagomatosi sull’intrattenimento televisivo non abbia finora mai sentito il bisogno di concedersi un racconto dall’interno della tv. Come se un polveroso, ma robusto tendone da sipario avesse voluto nascondere non solo congegni e dispositivi ideologici, ché quelli in fondo si conoscono o si indovinano, ma soprattutto l’umanità, la vita nuda che anima il retropalco, e quindi le chiacchiere, i sorrisi, le malizie, oltre ai peggiori automatismi.
Forse è vero che i libri sono ormai uno strumento superato per questi disvelamenti. Ma forse ancora no. Fatto sta che proprio nel momento in cui la vecchia tv generalista appare superata e i propri palinsesti ciascuno comincia a farseli con le istantanee hi-light e i provvidi cachinni dei social, esce La riunione (Feltrinelli, 195 pagine, 16 euro), ed è meglio di una di quelle trasmissioni che hanno fatto la storia eccetera, perché la scrittura trasmette memoria, mentre l’intrattenimento scorre come pioggia su vetri già appannati.
Savonese come tanti altri demiurghi dell’immagine, Pietro Galeotti, l’Autore, ha cominciato ragazzino e adesso ha 57 anni, l’età grama e sapiente dei bilanci e della salvezza dell’anima. Ha inventato decine di programmi e firmato migliaia di puntate lavorando soprattutto con Fabio Fazio, però pure con Baglioni, Saviano, Chiambretti, Giletti, Alba Parietti, Recalcati, Insinna, Teocoli, Corrado Guzzanti. Tutti conosce e una innumerevole quantità di ospiti, da Pippo Baudo a Rovazzi, ha selezionato e accompagnato sotto le telecamere.
Ritrovandosi sette Sanremi sul groppone potrebbe anche prendersi sul serio. Invece si è regalato una testimonianza di dolorosa leggerezza trasmettendo al pubblico una lezione di illuminante signorilità. Nulla di più lontano da un addio o da un confiteor.
"La riunione”, piuttosto, è l’opera in cui forse Pietro, più che lo sperimentatissimo Galeotti, ha finalmente adagiato con garbo tutto ciò che di suo, e soltanto suo, per anni ha dovuto sacrificare a quell’indispensabile dissipazione di squadra e banda sciamannata che è e che fa la televisione.
Vi si trova il crudo destino dell’autore, talvolta anche “espiatorio”, retribuito per farsi venire in testa delle idee “che funzionano” e possibilmente realizzarle a biechi fini di audience. Libero da tale concitata e insofferente costrizione, i ricordi scorrono con andatura rapsodica, piccole annotazioni intervallate da asterischi che sembrano sospiri, singulti, borbottii, sguardi alle divinità di un Olimpo di cartapesta che concedono fama e quattrini.
A volte, per via dei paradossi e dei rovesciamenti, i pensieri acquistano la forma dell’aforisma; altre volte risuonano come brani di un diario che a partire dall’infanzia riannoda ardori e smarrimenti, infamie e tristezze di una condizione per sua natura così nascosta e silenziosa da rasentare l’inesistenza, mentre invece tutto quel che si vede è scritto e calcolato con spietata precisione e anche con efferata spregiudicatezza in luoghi “talmente brutti e costruiti con materiali così scadenti e architetture così disgustose da dover essere considerati i cimiteri naturali della fantasia e delle idee”. Camerini, divani, salottini, scalette, copioni e furbizie compilative: “Fai sempre salva anche quando hai scritto una cagata”.
Buffet rinsecchiti, cestini del pranzo che fanno schifo, duelli sui contratti risolti a suon di banconote, agenti miserrimi e star capricciosissime, quello che prima di suonare pretende un minestrone, quell’altro che dà di matto in mutande, quell’altra ancora, con marito manager cattivissimo, cui nessuno, a pochi minuti dall’inizio, ha il coraggio di dire che sarà tagliata dal programma, così la fanno cantare lo stesso, a vuoto, poi si vedrà.
Ma al dunque è al tavolo, nel vivo dell’ininterrotta Riunione, che meglio si coglie il senso di quel mondo che vive di acceso disincanto e stranita curiosità: “Il picco d’ascolto della trasmissione cui stai lavorando coincide immancabilmente con quello che giudicavi il minuto di televisione più brutto mai visto in vita tua”. Ma anche: “Dei provini di oggi la sola cosa che mi pare degna di nota è il nome d’arte scelto da un concorrente siciliano: Raul Tabù”.
Sennonché proprio questi sussulti che a tratti ricordano – ed è il più gravoso complimento – i taccuini di Longanesi, certi lampi flaianei o le suggestioni lessicali del maestro di tutti gli autori, Marcello Marchesi, ecco, questo amabile e flemmatico cinismo finisce per indicare con la maggiore libertà, energia e chiarezza che la televisione è dominata dalla più inestinguibile cialtroneria; e il suo pubblico concepito come una massa di rimbambiti manipolabili.
Così, “nell’arco di pochi mesi della stessa Produzione siamo passati da ’La gente, se la vuoi far ridere, si incazzà a ’la sera la gente vuole ridere’, e comunque: ’Che ti devo dire? Speriamo che il pubblico abbocchi anche stavolta’”.
Chi è ostile alla tv trova qui ogni ragione per averne anche un po’ più paura. L’egocentrismo patologico dei Conduttori, gli spasmi degli ex Protagonisti in disuso, le cravatte sgargianti e la volgarità dei Produttori, la fifa burocratica dei Dirigenti, il domino infernale degli Ospiti: “C. non vuole in trasmissione B. / S. vuole C. ma non accetta D./ M. non vuole nessuno./ P. non può./ La senatrice non vuole C./ Il senatore non vuole S./ L’imprenditore non vuole B., non vuole M., non vuole nessuno./ S. comunque, non può (se n’è accorto adesso). G. non lo chiamiamo noi perché è stronzo (continua)”. Eppure...
Eppure: “Una volta qui era tutta una conversazione”, e piano piano, dietro l’inconcludente sciatteria e i vergognosi trucchi da mestieranti, dietro alle leggende a cui nessuno crede, si avverte un che di malinconico, quando al tavolo “era così bello litigare” e “non torneranno quelle riunioni di primavera, sotto il pergolato della trattoria, eravamo tutti più giovani, forse più intelligenti, certamente più spiritosi”.
Affiora il ricordo insieme mesto e lieto di quelli che se ne sono andati, Vaime, Paolo Poli, Moana Pozzi, Tommaso Labranca. E la Riunione si è fatta poesia – anche se in questo preciso momento stai sicuro che al tavolo c’è qualcuno che si attrezza al peggio.