Corriere della Sera, 21 settembre 2021
Intervista al matematico Tao, l’uomo più intelligente al mondo per QI
Ha un QI di 230: Albert Einstein, per intenderci, arrivava a 160. Il matematico Terence Tao, per tutti Terry, 46 anni, professore a Ucla, si presenta come un turista comune, la semplicità gli appartiene assieme ai modi garbati: look easy, giubbotto su una polo e sandali, anche se a Varese ormai non fa più caldo. Fino al 24 settembre l’Università dell’Insubria lo ospita – con un’escursione domani pomeriggio a Brera – per incontri e conferenze. Venerdì, infine, Tao riceverà il Riemann Prize (nel 2021 un’opera di Marcello Morandini), uno dei numerosi riconoscimenti in una vita strabiliante: a 2 anni leggeva da solo, a 5 insegnava ai bambini, a 7 era al liceo, a 9 frequentava corsi di matematica avanzata. Un alieno, forse? «Macché. E ho gli stessi problemi di tutti». Una straordinaria normalità.
La giudicano l’uomo più intelligente del mondo: che cosa ne pensa?
«Le definizioni assolute sono pericolose e io sono un matematico che si diverte con il suo lavoro. Nel nostro mondo non facciamo confronti, non c’è motivo».
Galileo Galilei disse: «La natura è un libro e la matematica è il suo alfabeto».
«Bella frase. La matematica è il linguaggio con cui spogli un pensiero nelle componenti centrali. Un’eventuale razza extraterrestre non comunicherebbe a parole, ma con numeri e matrici».
È vero che faceva disperare la nonna disegnando numeri sulle finestre con il sapone liquido?
«Avevo 2-3 anni, i numeri mi sono sempre piaciuti: amo i giochi nei quali se fai una cosa vinci e se ne fai un’altra perdi. La matematica è proprio così: una risposta è giusta e una è sbagliata».
Ha una vita normale o speciale?
«Normale: il lavoro, la moglie e due figli da seguire. Gli hobby? Sono un patito di giochi da computer, anche se li ho accantonati».
C’è una cosa che non sa fare o che non riesce a capire?
«La fisica è dura... Poi non so cantare e nemmeno recitare: pensate che trovo complicato leggere un discorso che mi è stato preparato».
John Garnett di Ucla sostiene che lei è come Mozart.
«Conosco Mozart grazie al film “Amadeus”: non mi identifico in lui, ma il paragone è curioso e la sua musica è splendida».
Che cosa esplora con le sue ricerche?
«Le connessioni tra le aree della matematica: il tentativo di unificarne gli aspetti è una costante di questa disciplina».
Perché molti studenti la detestano?
«Perché la vedono come qualcosa di magico. E se non segui il suo linguaggio, ti capita qualcosa di brutto. Bisogna cambiare approccio, provare, sperimentare: la matematica non è da temere».
Secondo Paul Dirac, se Dio esistesse sarebbe un matematico.
(risata) «È sorprendente come la natura sia semplice a patto di non modificarne i fondamentali: se cambi, diventa complicata».
Ma lei crede in Dio?
«Un’entità creatrice penso ci sia stata, però poi non ha avuto parte attiva nell’evoluzione».
Possiamo rendere la matematica più comprensibile e condivisa?
«È una grande sfida. In Rete si sperimenta e su YouTube circolano video ben fatti. Quale matematica per il futuro? Mi aspetto ulteriori applicazioni nei Big Data, nella biomatematica, nelle scienze sociali e nella fisica».
A scuola ha mai avuto un brutto voto?
«Sì. Ho fallito un paio di esami. Uno era di fisica: tutto bene per la parte di matematica, poi mi hanno chiesto nozioni storiche e io non le avevo studiate perché secondo me non c’entravano nulla».
Australiano di nascita, genitori cinesi, anche cittadino Usa. Questo melting pot l’ha aiutata nella carriera?
«Sono stato educato secondo lo stile occidentale, guardo la tv americana, non amo il cibo cinese anche se ho amici cinesi. Di quale Paese mi sento? Nella matematica non conta da dove vieni».
Due più due... fa sempre quattro?
«Se non ci sono trucchi, dico di sì».