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 2021  settembre 20 Lunedì calendario

Intervista a Dino Zoff

Dino Zoff, la foto di lei che balla in discoteca, con un certo stile, spopola sul web: tutti stupiti di vederla in questa veste, che ne pensa?
«Festeggiavamo uno scudetto e non mi tiravo certo indietro. Ma si andava a ballare solo dopo una vittoria del campionato».
La stupisce un po’ la sorpresa della gente?
«Quando c’è da festeggiare qualcosa di importante si festeggia, quel che conta è non farlo sempre, altrimenti perde di significato».
Qualcuno addirittura ha messo in dubbio che fosse lei, nemmeno fosse un monaco?
(Risata) «Buona parte del mio comportamento è sempre stato serioso».
Papa Wojtyla le disse «siamo colleghi»?
«Sì, mi disse che anche lui aveva giocato in porta e capiva le responsabilità che avevo».
È considerato un burbero.
«Mi avete dipinto spesso come uno che non parlava affatto: non era così».
Ma è vero o è leggenda che una volta ha battuto Pietrangeli a golf all’ultimo colpo e ha danzato di gioia?
«Beh, effettivamente è vero. Due campioni di specialità diverse che si sfidavano su un altro terreno: ne andava dell’onore del calcio rispetto al tennis, era qualcosa di autenticamente sportivo».
Gioca sempre a golf?
«Da un po’ non ci vado, però pratico sempre».
A Napoli ha giocato 5 anni: ci si divertiva più che a Torino?
«Io sono stato bene dappertutto, ma il divertimento di una vittoria del campionato l’ho provato solo a Torino. Però con il Napoli sono andato in Nazionale e sono diventato campione d’Europa, gli ingredienti per vincere c’erano tutti e avevo un rapporto bellissimo con la gente. Da friulano timido l’apertura napoletana mi è servita».
Casinò di Sanremo, 5 settembre 1983, festa di addio di Zoff: aprono 8 ballerine con le lettere del suo nome e cognome sulla schiena. Conferma?
«Non ricordo, ma ricordo che ero attorniato da Jascin che mi portò in regalo un samovar e da Banks: c’erano i migliori portieri della storia».
Invitò solo numeri uno?
«È logico».
Lei era tutto raziocinio o aveva un po’ di follia?
«Un pizzico di follia poteva esserci, ma ero molto severo sul mio lavoro. E diventavo raziocinante».
Oggi ci sono i social, quando giocava lei si usavano le lettere. Ne riceveva tante?
«Incredibile, ma ne ricevo molte di più adesso, con foto da firmare. Arrivano da tutte le parti del mondo: è bello, mi rende orgoglioso».
I giocatori esultano in tutti i modi, il suo massimo di espansività fu il bacio a Bearzot dopo Italia-Brasile?
«Direi di sì. E ci vergognammo un po’, per il pudore che avevamo. L’esasperazione mediatica nei festeggiamenti non mi è mai piaciuta. Anche per rispetto degli avversari».
In quel Mondiale Tardelli chiamava la stanza sua e di Scirea, «la mia Svizzera». Non andaste in discoteca dopo la vittoria più bella: sarebbe stato come rovinarla?
«Sì perché il Mondiale non era possibile rivincerlo, a differenza di un campionato, almeno per me che avevo 40 anni. Era un momento da santificare, più che da ballare».
Nella famosa partita a scopone in aereo contro Bearzot e Causio, ha perso per colpa del presidente Pertini: lui si scusò con un telegramma?
«Certo. Me lo mandò quando smisi di giocare. Dice molto dello stile della persona».
Musicista preferito?
«Francesco Guccini».
Quello rivoluzionario da «Locomotiva» o quello riflessivo-nostalgico da «Il vecchio e il bambino»?
«Più riflessivo».
Un libro che rilegge?
«Da giovane leggevo molto Arpino, di cui ero amico. Ora rileggo un po’ tutto Pasolini, anche le poesie in friulano».
C’è una componente di nostalgia della terra?
«Certamente».
I friulani sono un po’ incompresi dagli altri italiani?
«Il vecchio friulano ha una regola: “Chi parla tanto sa poco”. Magari non è sempre vero, ma a grandi linee è così».
Cosa le strappa un sorriso?
Incredibile, ma ricevo molte più lettere con anche foto da firmare adesso di quando giocavo. Arrivano
da tutte le parti del mondo: è bello, mi rende orgoglioso
«Una battuta, una barzelletta. O gli sproloqui di gente che crede di sapere tutto».