la Repubblica, 20 settembre 2021
Intervista a Nicola Lagioia (parla dei giovani)
ROMA – Che cosa ci dice, l’onda dei referendum che sta coinvolgendo i giovani e travolgendo la politica, se non che le nuove generazioni sono spesso più razionali e meno ideologiche di quelle che guidano i partiti e per lo più siedono in Parlamento? Nicola Lagioia, scrittore, direttore del Salone del libro di Torino – al via il prossimo 14 ottobre – pensa che la risposta non possa che essere questa. C’è più ragione e meno emotività, nei ragazzi. C’è la voglia di dire la loro su temi a lungo elusi, per mancanza di luoghi di elaborazione adeguati.
Il mondo dei partiti deve trovare il modo di raccoglierla, questa richiesta di partecipazione su temi che il Parlamento tiene da anni nel cassetto?
«Sì e non solo perché sono ormai ineludibili, ma per una questione supplementare: c’è in questo momento un enorme debito di riconoscenza che gli adulti hanno nei confronti dei giovani. Perché durante la pandemia sono quelli che si sono sacrificati più di tutti. Mi aveva colpito una querelle in rete tra Giorgio Agamben e una giovane filosofa».
Un’altra. Su cosa?
«Agamben diceva: “Voi giovani siete schiavi del potere perché siete stati troppo obbedienti”, e la ragazza gli rispondeva: “Se abbiamo obbedito restando a casa è stato per salvare gli anziani come lei. Per un senso di responsabilità”. Ci ritroviamo quindi giovani responsabili e adulti teenager, un rovesciamento evidentissimo nella pandemia e anche adesso, con la vaccinazione, alla quale i ragazzi hanno aderito in massa pur correndo molti meno rischi di noi se prendono il virus».
Come se il senso della collettività
fosse vivo più in loro che negli adulti.
«Proprio così. Il che è sorprendente se pensiamo a come il mondo economico e del lavoro li tratta nel nostro Paese. Perché sono meno di un tempo, contano meno e la politica, che è cinica a tutte le latitudini, non se ne prende cura».
La vicinanza a un tema come l’eutanasia, il fine vita, sorprende forse di più rispetto alla depenalizzazione della cannabis.
«Sono due temi fortissimi. Il fatto è che davanti a questioni etiche molto profonde a me non sembra ci sia una altrettanto profonda riflessione dei partiti».
Un tempo c’era? Gli avanzamenti sui diritti fanno parte del passato?
«Un tempo da questo punto di vista i partiti erano delle chiese. Arrivavano a una conclusione su un tema etico dopo una lunga e faticosa, ma collegiale, elaborazione. Adesso che la politica è sempre più personalistica, finisce che ognuno la pensa in maniera diversa e un punto comune non si trova mai».
Forse nemmeno si cerca. Il che crea un abisso tra politica e società.
«Io vedo prevalere posizioni preconcette, ideologoche. La destra è contraria all’eutanasia, la sinistra favorevole, e non si arriva a nulla.
Quando si varò la legge Basaglia certi temi venivano dibattuti dalla base fino agli intellettuali in maniera molto sofferta, ma continua. È così che sono state fatte una serie di conquiste sociali».
Si può obiettare – come fa la destra- che i giovani sono interessati alla depenalizzaione della cannabis perché ne sono i principali consumatori.
«Io credo che siano molto informati, consapevoli di quanto le mafie lucrino sulle droghe. E la cosa che serve più di tutto sulla questione degli stupefacenti è una corretta informazione. Trovo molto interessante che ci siano associazioni dedite alla “riduzione del danno” che nei luoghi in cui lavorano riescono a farsi sostenere anche dal partiti di destra».
Cosa fanno?
«Vanno nelle discoteche e spiegano ai ragazzi cosa comporta l’assunzione di una determinata sostanza. Oppure analizzano gli stupefacenti, col risultato che se chi glieli porta vede un referto diverso da quello che si aspettava, quella roba non la prende più».
Serve un approccio più razionale e paradossalmente ce l’hanno di più i ragazzi?
«La verità è che come per il Covid, anche sulle droghe bisognerebbe affidarsi di più a quel che dice la scienza. Perché in ordine di pericolosità, dopo l’eroina viene l’alcol. Direi, per riassumere, che un tema che è sempre stato trattato in maniera emotiva andrebbe invece discusso in modo razionale. Il referendum può essere un’occasione per affrontare queste questioni in maniera oggettiva e non emotiva.
Perché l’ideologia, in certi casi, non serve a niente».