Avvenire, 19 settembre 2021
Intervista all’attore Massimiliano Gallo
Se dovessimo scegliere un solo aggettivo per descrivere il lavoro di Massimiliano Gallo, uno degli attori italiani più talentuosi e apprezzati, che alterna con sapienza teatro, tv e cinema, questo sarebbe «eclettico». A Venezia lo abbiamo appena visto in due film, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, vincitore del Gran Premio della Giuria, e in Il silenzio grande di Alessandro Gassmann, presentato alle Giornate degli Autori. Ieri sera invece al Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli ha ricevuto il Nastro d’argento Grandi Serie Internazionali per I bastardi di Pizzofalcone, per aver portato in quella «famiglia allargata», così dice la motivazione, «l’impegno di un protagonismo che emerge sempre più tra cinema e teatro, incarnando anche nella fiction un personaggio che unisce il cuore di Napoli al disegno narrativo di un autore amato come Maurizio De Giovanni». La terza stagione diretta da Monica Vullo debutterà domani sera su Rai1.
Un premio per una serie di grande successo.
Un riconoscimento che mi ha fatto un enorme piacere perché nei Bastardi di Pizzofalcone ho dato veramente tutto. Le serie Rai hanno fatto un salto grande di qualità, vengono realizzati prodotti di altissimo livello anche attoriale. Quella dei Bastardi è diventata una grande famiglia, quando siamo al commissariato siamo una vera squadra. Ho fatto un po’ da chioccia al gruppo, mi ha fatto piacere che sin dalla prima stagione mi abbiano chiamato dirigenti di polizia che si riconoscevano nel mio personaggio. Ho affrontato questo ruolo chiedendomi che tipo di commissario sarei stato. Ma il successo della serie è dovuto alla scrittura di Maurizio De Giovanni che invece di immaginare superpoliziotti all’americana parla di persone normali, impegnate in un lavoro straordinario, speciale. A casa, come tutti, hanno problemi personali, famigliari e il racconto delle loro fragilità è molto bello. Maurizio è bravissimo a scavare nell’animo umano e scrive dei romanzi che sembrano di facile consumo solo a chi ha la puzza sotto il naso, ma che invece descrivono le persone con uno sguardo particolare.
In tv la vedremo per molti mesi.
Si, oltre ai Bastardi, da fine ottobre andranno in onda le prime quattro punta-
te della nuova stagione di Imma Tataranni, alle quali ne seguiranno altre quattro dopo dicembre. In primavera invece dovrebbe arrivare Vincenzo Malinconico, avvocato, tratto dai libri di Diego De Silva. Imma Tataranniè arrivata mentre ero già impegnato in molte altre cose, ma ho incontrato Vanessa Scalera, abbiamo fatto un provino e tra noi è nato un amore artistico. Siamo partiti subito e ci siamo divertiti molto, come musicisti felici di suonare insieme. La serie restituisce uno spaccato di vita vera e il mio personaggio, un mammo che si occupa della casa, è lontanissimo dallo stereotipo dell’uomo del Sud. Malinconico poi è straordinario, complicato, ma mi ci sono buttato perché come attore mi piace rischiare. È un personaggio politicamente scorretto, un “non vincente” per scelta, che si lascia vivere nel mondo caotico che gli gira intorno racchiudendo tutte le sfumature della grande commedia all’italiana. Mi somiglia un po’, ci ho messo dentro delle cose mie, tanto che De Silva un giorno mi ha chiamato per dirmi che per la prima volta in vita sua, scrivendo Malinconico, non può a meno di avere in testa la mia voce.
La scelta di ruoli e progetti molto diversi resta la sua priorità.
Ho sempre cercato di fare scelte anche scomode, accettando film indipendenti a basso budget che mi hanno regalato però grandi soddisfazioni. In sette anni sono andato a Venezia con nove film, qualche scelta l’ho centrata. Parto da idea un po’ anglosassone per cui un attore deve essere molto preparato e saper affrontare tutti i percorsi, uno strumento a disposizione del regista. Bisogna avere il coraggio di sperimentare lontani dalla cosiddetta comfort zone in ci si è già mossi. L’Italia non è un paese famoso per la meritocrazia, però oggi Rai1 mi dà possibilità di essere protagonista della prima serata, un traguardo a cui sono arrivato per il lavoro fatto in tanti anni. E questo è il messaggio che vorrei arrivasse ai giovani ai quali cerco di spiegare come sfortuna e raccomandazioni siano spesso solo un alibi. Bisogna essere molto preparati e fare bene il proprio lavoro: se il treno passa, tanto meglio, ma se non passa si può e di deve in ogni caso lavorare seriamente.
L’Italia però resta un paese che non perdona il successo.
Vittorio Gassmann diceva che non gli avevano mai perdonato di non essere mediocre. L’Italia è un paese che non prevede il sogno americano, l’applauso per chi arriva al traguardo. Il successo di chi lavora tanto dovrebbe rincuorare perché quello che è accaduto oggi a lui domani potrebbe accadere a noi, eppure ci si ricorderà sempre degli insuccessi che dei buoni risultati ottenuti dagli altri
Crede che il cinema italiano stia cominciando a uscire dalla sua comfort zone?
Per molto tempo ha avuto paura di rischiare, ma ora finalmente le cose stanno cambiando, anche con il ritorno dei film di genere dopo che per vent’anni anni abbiamo fatto solo commedie, molte delle quali di pessimo livello, lamentandoci poi che i nostri film non uscivano neanche al confine con la Svizzera. Oggi con l’arrivo di nuovi registi, penso ad esempio al Mainetti di Freaks Out, ma anche ai Manetti di Diabolik, si ritorna all’industria che ha fatto grande il cinema italiano, capace di insegnare a tutto il mondo. Per molti anni siamo passati attraverso le scorciatoie di un sistema che finalmente è imploso e si è cominciato a pensare non più a operazioni a tavolino ma a progetti interessanti. E questo è l’unico modo per portare di nuovo i ragazzi in sala. Credo sia un buon momento per cinema italiano, che finalmente fa nuove proposte, rischia, guarda a tematiche universali e va altrove. Grazie ad Alberto Barbera anche la Mostra di Venezia è tornata a essere il festival dove tutti vogliono andare con i propri film.