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 2021  settembre 19 Domenica calendario

Storia dello stomaco

Tra le tante storie di stomaco, una delle più affascinanti per noi medici si svolge all’inizio del 1800 in un villaggio dell’isola di Mackinac, sul lago Huron, tra Michigan e Ontario. William Beaumont, medico autodidatta dell’esercito, sente uno sparo, accorre e vede un ragazzo a terra in un lago di sangue. Quando lo soccorre ancora non sa che l’incontro con quel paziente inatteso segnerà il destino di entrambi. Alexis St. Martin, colpito accidentalmente da un colpo di fucile, è un giovane sulla ventina, cacciatore di pelli, analfabeta. «Una ferita orribile, grande quanto il palmo di una mano. Dalla camicia bruciacchiata sbucavano pezzi di costole, cartilagini e frammenti di cibo della colazione. Quando il ragazzo tossì fu chiaro da dove venissero: l’esplosione gli aveva perforato lo stomaco». Beaumont gli salva la vita, ma Alexis sarà per sempre «l’uomo col buco nello stomaco»: la sua ferita, infatti, si rimargina completamente tranne per una fistola, una finestra sempre aperta sul mondo gastrico. Beaumont lo studia per decenni, con esperimenti al limite della deontologia, infilando in quel povero stomaco a cielo aperto pezzetti di cibo legati con uno spago così da recuperarli e studiare il processo digestivo, la decomposizione dei cibi, la peristalsi gastrointestinale e così via. Del resto nell’Opera da tre soldi Bertold Brecht ci ricorda che «prima viene lo stomaco, poi la morale», anche se ovviamente in tutt’altro senso (un senso, per esempio, da spiegare al senatore Agrippa). Nel 1833 Beaumont dà alle stampe Experiments And Observations On The Gastric Juice, And The Physiology Of Digestion, destinato a diventare un testo medico fondamentale ma molto in debito con l’etica del rapporto medico-paziente. Alexis tenta più volte di sottrarsi ai supplizi gastrici inflitti dall’ambizioso Beaumont, ma con le buone o le cattive viene sempre ricondotto all’ovile, cioè all’ambulatorio. Alexis, che nonostante la fistola gastrica si consola con l’alcol, nel frattempo mette su famiglia, il cui mantenimento diventerà una voce dei vari contratti stipulati con Beaumont in nome della “scienza”. Il medico morirà a 68 anni, per una brutta caduta su una lastra di ghiaccio. Il paziente gli sopravviverà fino a compiere 86 anni. I parenti di Alexis, estenuati da una vita “al servizio” della scienza, lo seppelliscono in un luogo segreto, senza croce né nome, che mai a un medico venisse in mente di riesumare il cadavere per praticare un’autopsia ed esaminare il famoso viscere. Dovremo aspettare il 1962 perché Alexis St. Martin, martire dello stomaco, venga onorato con una targa. Oggi, per studiare le malattie gastriche, gli scienziati possono costruire miniature di stomaco umano, “organoidi” della dimensione di un pisello creati a partire da cellule staminali.
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In una delle sue tante battute, questa è da Scoop del 2006, Woody Allen dice: «una vera emozione nella mia vita sarebbe una cena senza bruciore di stomaco». Mi è tornata in mente l’altra sera quando, a cena con degli amici, la conversazione ha preso una piega gastrica e più della metà di noi ha iniziato a discutere i pregi e i difetti del proprio gastroprotettore preferito. Lo stomaco è sulla bocca di tutti. Non solo perché ogni nostro mangiare e bere passa di lì, ma anche perché attorno allo stomaco si è sviluppata una ricchissima espressività linguistica: stomachevole, voltastomaco, pelo sullo stomaco, peso sullo stomaco, buco nello stomaco, stare sullo stomaco, stomaco di ferro, pugno nello stomaco, farfalle nello stomaco... per non parlare dei rospi da ingoiare e dei bocconi amari. Lo stomaco, è lì che “sentiamo” l’ansia e la paura, è un organo molto psicologizzato, cosa comprensibile se pensiamo a quello che la vita ci costringe a digerire e a quanto stretti siano i suoi rapporti con l’amigdala e il nervo vago (che il geniale neurofisiologo Porges definisce «mediatore di emozioni»). La sua psicologizzazione è stata in parte de-psicosomatizzata dalla scoperta fatta da due ricercatori australiani, Warren e Marshall, premi Nobel 2005, del ruolo dell’Helicobacter Pylori nella gastrite e nell’ulcera peptica. Non che stress, farmaci gastrolesivi, fumo, alcool e caffeina siano carezze per lo stomaco, ma l’Helicobacter si cura con l’antibiotico.
La malattia di mia madre mi ha insegnato a diagnosticare sempre i sintomi della sofferenza gastrica: il più delle volte si tratta di gastrite, ma una gastroscopia in più male non fa. Il carcinoma allo stomaco è tra i tumori più diffusi, circa il 23% di tutte le neoplasie. Questa grande incidenza è stata messa in luce all’inizio degli anni 50, e forse non è un caso che due film dell’epoca, tra l’altro due capolavori, raccontino storie gastrotumorali: uno è Vivere di Kurosawa, l’altro è Diario di un curato di campagna di Bresson.
Lo stomaco, un sacco allungato di muscolo e mucosa, capace di movimento (peristalsi) e sosta alimentare obbligata tra esofago e intestino, è un laboratorio alchemico, almeno così lo definiva il medico e filosofo rinascimentale Paracelso. Il suo compito è avviare la digestione, al cui scopo secerne succhi acidi e enzimi, trasformando il cibo in una sostanza semifluida e opaca detta «chimo». Lo stomaco è luogo di trasformazione anche in molti miti dove l’eroe viene inghiottito da un mostro e lì rimane fino a quando viene restituito, più maturo, al mondo: Giona e Pinocchio sono i due bocconi più celebri. Duole se mangi troppo, duole se non mangi affatto, tanto da farti sentire «i morsi della fame», lo stomaco (quantomeno quello umano, i ruminanti ne hanno un paio) è composto da un fondo (la bolla gastrica), un corpo, un antro e un canale pilorico. Due passaggi cruciali lo delimitano: il cardias, che lo collega all’esofago e quando si sfianca diventa teatro di fastidiosisissimi reflussi, e il piloro, che consegna il cibo al suo transito duodenale. Lo stomaco si può dilatare fino a comprimere dolorosamente gli organi circostanti. Ne sanno qualcosa Gargantua e Pantagruel e anche i quattro protagonisti di La grande abbuffata che decidono di suicidarsi mangiando fino a morirne, mettendo così in scena fisiologica la critica ideologica del regista Marco Ferreri al consumismo.
Una delle prime apparizioni metaforiche dello stomaco la dobbiamo al senatore romano Menenio Agrippa che nel 494 a.C. placa la plebe in rivolta paragonando l’ordinamento sociale a un corpo umano dove le braccia sono il popolo e lo stomaco è il Senato. Se le braccia si rifiutano di lavorare, leggiamo nell’apologo riportato da Tito Livio, il Senato non riceve cibo; e siccome un organismo funziona solo grazie alla collaborazione delle sue parti, quando lo stomaco non viene alimentato presto tutto il resto del corpo, comprese le braccia, finisce per morire.