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 2021  settembre 19 Domenica calendario

La moda araba diventa made in Italy

«Lo prendo subito!». La donna era decisa. Non c’era stato verso di farle cambiare idea. Erano gli inizi di settembre, a Salerno era da poco terminata la sfilata, la prima in Italia dove le modelle avevano indossato abiti da sera e da cerimonia pensati per le donne musulmane. Gianni Cirillo, 51 anni, stilista di Aversa in provincia di Caserta, stava ricevendo i complimenti per il vestito portato in passerella quando una signora era arrivata di corsa al suo stand. Aveva indicato l’abito, un completo di misto seta formato da pantaloni e chemisier con un continuo rinvio di fucsia e blu ripetuti tra il colletto, i polsini, i pantaloni, l’hijab per coprire la testa, nemmeno un centimetro di pelle scoperta al di sopra delle caviglie o delle mani. «Quello, sì. Lo prendo subito».
Gianni Cirillo aveva esitato. L’abito era unico, creato a mano per la sfilata, non aveva messo in conto di venderlo già al salone, al massimo di ricevere degli ordini. Ma la signora aveva insistito: «Sto partendo per Dubai, ne ho bisogno ora».
Alla fine Gianni Cirillo avevaa ceduto. Ma ha dovuto mettere immediatamente al lavoro le sue sarte per cucire in fretta un secondo abito uguale al precedente, hijab compreso. Lo aspettano alla Milano Fashion Week che inizierà la prossima settimana e avrà uno spazio dedicato agli abiti da cerimonia e da sera per le donne musulmane. Sarà lo show-room di Livia Gregoretti a ospitare queste creazioni che hanno una particolarità, sono tutte del sud e in particolare della Campania. Su 16 abiti Muslim che saranno esposti 12 arrivano da un nuovo distretto che sta nascendo nella regione e che mira a conquistare i gusti delle donne musulmane. «Sono vestiti fedeli ai dettami della loro religione ma con l’eleganza, la cura dei dettagli e la qualità dei tessuti della moda italiana», spiega Michela Zia, manager e direttrice artistica del Salone internazionale della moda da sera e da cocktail di Salerno dove hanno debuttato gli abiti. È sua l’idea di andare a conquistare le donne musulmane. Ha creato un consorzio chiamato South Italian wear per aiutare le imprese del sud a raggiungere nuove quote di mercato e ha individuato nei vestiti per le donne di rito coranico la più invitante di queste sfide. Marchi come Louis Vuitton e Dolce e Gabbana hanno avuto il coraggio di creare hijab, chiamandoli con il loro nome e di venderli come tali. Tanti altri invece finora hanno provato a esportare proponendo alle signore lunghe sciarpe da avvolgere sulla testa per adattarle ai dettami dell’Islam. «Noi invece vogliamo rivolgerci proprio alle donne musulmane, realizzando abiti per loro, non degli adattamenti», spiega Michela Zia. Spazio quindi a hijab e abaya, caftani e corpi interamente coperti. «Alle imprese ho detto buttatevi», racconta la manager.
Le imprese l’hanno ascoltata, sull’onda di una speranza dettata dalle cifre di un settore che dovrebbe raggiungere acquisti per 484 miliardi nel 2022 nel mondo da parte delle donne musulmane. La proposta è stata lanciata a giugno. Nel giro di pochi giorni hanno aderito oltre trenta titolari di piccoli marchi del sud. A ognuna Michela Zia ha chiesto di preparare un capo da presentare agli inizi di settembre al salone internazionale della moda da sera e da cocktail di Salerno.
A luglio le aziende si sono messe al lavoro sapendo di avere delle regole inderogabili da rispettare. «Produrre abiti Muslim vuol dire niente spacchi, niente trasparenze, braccia coperte fino ai polsi, gambe coperte fino alle caviglie, capo coperto in modo che non si vedano i capelli», elenca Annamaria Guarino, che insieme a Maria Sipontina Valente ha creato il marchio Emoba a Solofra, in provincia di Avellino. Triste? Monotono? Assolutamente no, hanno risposto gli stilisti che hanno dato sfogo alla fantasia. «Abbiamo immaginato una donna che crede nella sua religione ma vuole essere elegante, ricercata. Per lei abbiamo creato un abito nero, non appariscente ma pieno di dettagli che danno vita a uno stile unico», spiega Annamaria Guarino. Nel loro caso sono dettagli realizzati mettendo a frutto l’esperienza accumulata in anni e anni di lavoro con la pelle. Hanno preso ferri e uncinetto ma invece di fare la maglia con la lana hanno usato dei nastri di pelle upcycled, rigenerata e unita a un filato di cotone laminato. Il risultato è un capo esclusivo, l’unico esempio di Muslim sostenibile tra quelli che saranno esposti a Milano la prossima settimana.
Giada Landolfo, responsabile del marchio Majà lavora poco lontano, a Santa Lucia di Serino. La sua interpretazione dell’eleganza musulmana è molto diversa. «Abbiamo pensato a una donna giovane, che ha voglia di seguire la moda e di uscire dal contesto in cui vive senza venir meno alle regole coraniche. Per lei abbiamo scelto un colore acceso, il rosso. E abbiamo disegnato una tunica non dritta ma le abbiamo dato una lieve forma e abbiamo aggiunto dei pizi alle maniche per esaltare la sua femminilità». Gli abiti sono già stati spediti a Milano dove arriveranno i buyer di mezzo mondo. La speranza degli stilisti è che si ripeta il colpo di fulmine scattato a Salerno. Di vedere di nuovo qualcuno che dica: «Lo prendo subito!».