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 2021  settembre 19 Domenica calendario

Declino a Miami per Higuain

U n suggerimento per l’editoria. Ingaggiare J.R. Moehringer, il premio Pulitzer autore di Open, la biografia del tennista Agassi che vanta dozzine di tentativi di imitazione. Metterlo sul primo aereo per Miami. Dirgli di andare sulla spiaggia e cercare un tizio con la barba di un convertito al sufismo, la dimensione mistica dell’islam, pochi capelli e un po’ di pancetta. Probabilmente starà palleggiando e al secondo slancio il suo piede mancherà la palla. Si chiama Gonzalo, detto il Pipita e un tempo, appena 5 anni fa, era il pistolero più veloce del West europeo. Higuain è il soggetto ideale per raccontare il tramonto anticipato di un uomo gol e la tentata rinascita di un uomo, punto. L’intervista alla rete americana Espn è stata una perfetta introduzione.
L’apparenza, per cominciare. Farsi crescere la barba in quel modo è tipico di chi si nasconde in sé dopo una sconfitta. Ricorda l’Al Gore a cui sfuggì l’elezione nel 2000. A soli 33 anni Higuain è andato alla deriva in Florida. Non c’è in lui la robotica determinazione del 36enne Ronaldo o l’astuzia di marketing del 40enne Ibrahimovic. Ma neppure la capacità scenica dell’uscita a effetto del 32enne Platini. Non persiste né scompare: sfuma. Annuncia un prossimo anno sabbatico mentre i suoi ex colleghi giocheranno i mondiali. Come non sapesse che il calcio è una strada con la sosta vietata. È umano nella sua resa. Amabile, perfino e infine. Spiaggiato, come certi cetacei che hanno perso la rotta. Aderente al branco, si aggancia al fratello, evoca la loro intesa in campo come ultimo regalo alla madre prima che spegnesse per sempre il televisore. Un grande talento può impiegare anni a disperdersi. O una frazione di secondo. Lì stava la forza di Higuain, nella velocità con cui passava dal primo tocco al tiro: aggiustare-mirare-fuoco prima che il difensore, condannato, potesse metterci un muro. Quell’attimo, fuggito, se l’è portato via. Aver sbagliato un gol facile, anziché un rigore, nella finale al Maracanà, ne ha ridotto la figura tragica, reso il ricordo più digeribile. Ha provato a tornare, al Chelsea, alla Juventus, ritrovando l’allenatore che pareva il suo creatore, ma “non era stata la mano di Sarri”. È sempre la mano di Dio: una carezza e passa al miracolo seguente.