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 2021  settembre 19 Domenica calendario

Intervista a Giuseppe De Rita

«La casa per gli italiani è un mito, uno status e quindi anche un tabù: guai a chi la tocca». Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, sociologo classe 1932, già presidente del Cnel, non si stupisce delle resistenze che la riforma del catasto suscita al solo annuncio.
L’ultima riforma risale all’anno in cui cadeva il Muro di Berlino.
Perché in Italia è quasi impossibile disciplinare il mattone?
«Per l’italiano medio la parola casa è fondamentale: difficile scrollare questo attaccamento. Dice: "C’ho casa". Non dice: "C’ho una villa, un appartamento, un buchino". No, dice: "C’ho casa, c’ho casa in centro, al mare, in montagna". L’espressione "c’ho casa" è fondamentale. E nessuno mai è riuscito ad attaccare questo mito».
Chi tocca la casa muore, politicamente?
«Di sicuro i governanti non amano affrontare di petto la questione, specie quando si parla di prima casa, anche se fare ordine sarebbe giusto ed equo. E demandano ai Comuni la faccenda. Ma anche a livello locale chi mette le imposte prima o poi paga un prezzo in termini di consenso. Introdurre e poi ritoccare l’Imu o anche parlare di revisione degli estimi catastali è per la politica un modo di aggirare la questione. Ma l’italiano quando sente "riforma del catasto" traduce subito in "patrimoniale"».
Perché questa ostilità?
«L’Imu viene vissuta come un attacco indiretto al mito della casa, la tassa più odiata, una patrimoniale di fatto. Svicolare parlando di metri quadri anziché di vani riproduce lo stesso effetto, quello della stangata. Ecco che la parola casa diventa tabù, perché in fondo tutta la mentalità italiana è legata alla casa. Il figlio si sposa o si laurea: gli compro la casa. Mi divido da mia moglie, "ma non c’ho casa".
Per i fidanzati, soprattutto della mia generazione, era una specie di proclama: "Come prima cosa ci compreremo casa". La prima pietra della convivenza familiare».
La casa è ancora uno status?
«Lo è sempre stata. Penso ai miei genitori che ce l’hanno fatta solo al momento della pensione: per tutta la vita hanno pensato alla casa.
Tutta la rivoluzione urbana degli anni ‘40-‘50-‘60 è accompagnata dal bisogno e dal desiderio di casa.
Pensiamo agli immigrati del Sud arrivati al Nord. All’inizio dormivano in sei in una stanza, ma il sogno era farsi una casa per richiamare la famiglia. Tutto il superamento del meccanismo razzista verso i meridionali è avvenuto sulla casa. La storia d’Italia è storia di case. Non la storia abituale, la storia delle crisi: dal dopoguerra alle migrazioni ai terremoti. La casa in Italia diventa un mito proprio dopo le crisi: mi rifaccio la casa distrutta dai bombardamenti, magari brutta come prima, ma la rifaccio. Questo però significa che nei periodi meno duri e molli, come l’attuale, diventa molto difficile toccare la casa».
Per questo la politica stenta?
«La casa è il modo in cui l’italiano ragiona su se stesso e la propria stabilità. È il senso del suo profondo radicamento. Per questo la politica non ce la fa. Perché quando tocca la casa va contro la psicologia più minuta, quella delle famiglie, delle coppie. Tutto si gioca dove mi radico e mi rassicuro: mi trovo casa, mi affitto casa, mi compro casa. Ogni intervento fiscale o di riforma è visto come attacco a questa psicologia».
Ma perché la discussione politica è a due colori: destra contro, sinistra a favore?
«Per un vecchio vizio: la destra rifiuta tassazione e patrimoniale, la sinistra guarda all’attività fiscale per riequilibrare la distanza tra poveri e ricchi. Anche se oggi questa distanza passa per il digitale, la finanza internazionale, i risparmi collocati all’estero. Ma niente, a sinistra vince la vecchia e radicata abitudine che per far piangere i ricchi bisogna tassare. E alla fine piangono anche loro».
Che effetto le fa l’Italia col Pass?
«Innaturale. Ma sono 18 mesi che viviamo così: non che il lockdown fosse naturale o le mascherine e il distanziamento. La tragedia di questa pandemia è che non si vede una fine. Ma ci siamo abituati all’innaturale. E tutto sommato è un bene e ci rafforza».